Bergoglio è il sintomo non la causa della deriva dottrinale

Jorge Mario Bergoglio entrò nella Compagnia di Gesù nel 1958 e fu ordinato sacerdote nel 1969. Durante quegli undici anni, ricevette una formazione filosofica e dottrinale di stampo neomodernista, impregnata del pensiero dei confratelli europei (Rahner, de Lubac, Danielou, etc.) del movimento pseudo-teologico conosciuto come nouvelle theologie, corrente che — seppur con qualche frenata non risolutiva dall’Humanae Vitae di Paolo VI al pontificato di Benedetto XVI — prese il sopravvento sulla scolastica tomista al Concilio Vaticano II. I “nuovi teologi” riprendono le teorie moderniste dell’evoluzione dei dogmi, il relativismo morale, la confusione nel rapporto tra natura e Grazia, sostituendo il cristocentrismo con l’antropocentrismo. Questo spiega i gravissimi errori dottrinali del magistero di Francesco.

Abbiamo letto con molto interesse un editoriale scritto da Tommaso Scandroglio per il quotidiano on line La Nuova BQ in cui vengono commentati quelli che sono quasi sicuramente i due atti magisteriale più importanti di papa Francesco: l’Amoris Laetitia e il cambiamento del n. 2267 del Catechismo della Chiesa cattolica sulla liceità come extrema ratio della pena di morte.

Il nostro autore spiega egregiamente perché, nel magistero di papa Francesco, l’adulterio e il concubinato non sono più atti intrinsecamente malvagi, mentre lo diviene la pena di morte[1]. Per il pontefice regnante l’adultero e il reo non sono mai pienamente responsabili delle loro scelte, subendo il condizionamento delle circostanze, perciò non possono essere puniti. Se la persona non è colpevole delle scelte che compie – conclude Scandroglio – sparisce la giustizia, lasciando campo libero alla sola “misericordia”.

In realtà, si tratta di un errato concetto di “misericordia” – aggiungiamo noi –, poiché la vera Misericordia non è una “licenza” al male, né un’impunità alla colpa.

Come può un uomo che è diventato Romano Pontefice avere nella testa e nel cuore tali inaccettabili amenità dottrinali?

Prima di tutto, bisogna dire che questo pontificato è il sintomo, non la causa della deriva dottrina degli ultimi cinquant’anni.

La causa è la nouvelle theologie, il pensiero pseudo-teologico di stampo neomodernista filomarxista che già dai primi anni ’50 del secolo scorso – benché condannato dal Pio XII nel 1950 con l’enciclica Humani Generis – divenne maggioritario nei collegi e nei seminari della Compagni di Gesù, tra i cui principali esponenti vi sono proprio dei gesuiti: Pierre Teilhard de Charden (1881-1955), Karl Rahner (1904-1984), Henri de Lubac (1896-1991), etc.

Jorge Mario Bergoglio entrò nella Compagnia di Gesù nel 1958 e fu ordinato sacerdote nel 1969. Durante quegli undici anni, ricevette quel tipo di formazione eterodossa, poiché i suoi insegnanti furono a sua volta formati dai personaggi prima menzionati.

Per i neomodernisti filomarxisti come Bergoglio & Co. L’unico vero “peccato” non è il Peccato – cioè l’offesa e la ribellione contro Dio – ma l’offesa contro l’uomo, in particolare quello che rientra nelle categorie ideologiche (l’oppresso e l’emarginato, in questi casi il risposato, il condannato a morte, il migrante, etc.).

L’uomo infatti non ha bisogno di essere salvato – anche se ne avesse bisogno, potrebbe benissimo farlo da solo –, perché ciò di cui necessita non è di essere corretto, ma di essere “integrato” nella comunità con le sue “fragilità”.

Ecco perché il reo non dev’essere punito – né riparare al male fatto – ma solo reinserito nella società, o perché l’adultero non dev’essere privato della Comunione, ma sono “accolto”.

Merita soltanto di essere severamente punito – senza “misericordia” – chi si oppone alla famosa a questa diabolica “svolta antropologica”, emblema del pensiero di Karl Rahner[2].

In tutto ciò, Dio Padre scompare dall’orizzonte, rimanendo solo come bella ipotesi per augurarsi che ci sia qualcosa di piacevole dopo la morte – pur interessando al neomodernista filomarxista solo questa vita, sa bene che non può, per quanto ci provi, eliminare la morte.

Cristo diventa nient’altro che un grande profeta con un messaggio di pace e amore per l’umanità – perdutosi nel tempo[3] –, ma è considerato fondamentalmente un fallito, essendo finito in Croce[4], senza aver portato a termine il suo progetto.

E lo Spirito Santo? La Terza persona della SS. Trinità diventa un’entità astratta, una specie di “megafono” del “popolo di Dio” che rivela la “verità” nella storia[5].

Com’è stato possibile arrivare ad una tale apostasia?

Lo ha spiegato don Divo Barsotti: «La Croce non è al centro della teologia del Concilio, non è la soluzione e il compimento della missione della Chiesa» (L’Attesa. Diario 1973-1975, pag. 213-214).

È tragicamente vero, poiché Karl Rahner fu il perito del Concilio Vaticano II che più di ogni altro impose il proprio pensiero eterodosso nella stessa assise conciliare[6].

Alla luce di ciò, come si può sostenere che il problema del Vaticano II è solo una questione ermeneutica[7]? Il problema sta proprio nei suoi documenti, non nell’errata ermeneutica dei novatores, i quali hanno avuto campo libero proprio per mezzo di essi.

Infatti è sufficiente rifletterci bene per rilevare che il pontificato di Bergoglio è la cloaca in cui confluiscono tutti gli errori del Vaticano II.

NOTE

[1] La Chiesa l’ha sempre ritenuta lecita come extrema ratio per tre ragioni. Lo stesso Tommaso Scandroglio lo spiega benissimo in questo articolo: Pena di morte, in principio è legittima (La Nuova BQ, 13-10-2017).

[2] La svolta antropologica di Karl Rahner (di padre Cornelio Fabro).

[3] “Ai tempi di Gesù non c’era il registratore!”. Ampia intervista al gesuita Arturo Sosa (Giuseppe Rusconi, 18-02-2018)

[4] Per il neomodernista filomarxista la Croce non è il compimento della missione di Gesù, ma un inutile incidente di percorso.

[5] Per il neomodernista filomarxista la fonte della rivelazione è il “popolo” (in senso marxista, non biblico) e si manifesta nella storia secondo lo “spirito del tempo”.

[6] Il ruolo di Rahner al Vaticano II (Giovanni Tortelli, Corrispondenza Romana, 11-07-2018)

[7] Le due ermeneutiche del Vaticano II (Benedetto XVI, Discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005).

3 pensieri riguardo “Bergoglio è il sintomo non la causa della deriva dottrinale

  1. hanno ammantato la legge Divina e il Vangelo di scienza umana …privilegiano la Vergine muta e il silenzio di DIO perchè sono arrivati i teologi,gli esegeti,apologetici e quanti altri ancora depositari di tutte le verità…ma Gesù non ha bisogno di interpreti.Questi sono i risultati:apostasia a iniziare dai massimi vertici della gerarchia ecclesiastica e la Chiesa di Cristo tentata di scardinare dai suoi stessi ministri,tentata..perchè la Chiesa è di Cristo e il Signore ha promesso di salvarla anche se in numero esiguo.

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  2. Va bene, il ringhiante parlator di misericordia è solo un ‘sintomo’.
    Quindi: rozzaggine, villanzoneria, menzogna, volontà di traviare, vendicatività, ……. sono colpa del CVII??

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    1. Questo sito non si occupa dei difetti personali dell’uomo Jorge Mario Bergoglio, ma delle cronache del suo pontificato e delle conseguenze su Santa Romana Chiesa.

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