Don Felice Prosperi, visto il gran caldo, avrebbe voluto riposarsi un po’, ma dopo l’ultima “bravata” di papa Bergoglio, non ha potuto esimersi dallo scrivere quest’articolo.
Il Papa ad agosto non va in ferie
Sorpresi i Cattolici dalla ‘boiata pazzesca’ del Santo Padre, che in data 2 agosto del c. a. ha voluto ‘strafare’ nel suo alto ‘magistero’, arrivando a riformulare il n° 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica, in merito alla dottrina sulla pena di morte, con tanto di Introduzione teologica della Congregazione per la Dottrina della Fede a supporto della sua tesi, che surclassa San Tommaso d’Aquino e strumentalizza, ancora una volta, l’insegnamento di San Giovanni Paolo II (e candidatosi ‘por lo tanto’ alla propria Canonizzazione – molto probabilmente prima della ‘pena della sua morte’ – con il titolo di ‘Santo Francesco Papa e Dottore della Chiesa’)… può essere sfuggito agli stessi fedeli che il ‘Sommo’, il giorno prima, parlando ai giovani futuri candidati Gesuiti (i quali non so se arriveranno a proclamarsi Gesuiti, in quanto il nuovo Santo Padre – Adamo II, credo che si chiamerà – provvederà a ‘sciogliere’ definitivamente e inesorabilmente la ‘Compagnia dei Cattivi Compagni’ e a radiare dall’Albo dei Sommi Pontefici il suo predecessore), ha osato sentenziare da ‘prete scomunicato’, ubriaco e bestemmiatore assiduo delle ‘bettole’, con questo esordio:

“Buongiorno. Sono contento di accogliervi. Grazie tante di questa visita, mi fa bene. Quando io ero studente, quando si doveva andare dal Generale, e quando con il Generale dovevamo andare dal Papa, si portava la talare e il mantello. Vedo che questa moda non c’è più, grazie a Dio”.
Certamente la sublime affermazione è più che sufficiente per definire “chi e che specie di Papa è colui che ci ‘tocca’… sorbire” (come vedete non temo di adattare un poco il Santo Vangelo, con la variante che io sono il ‘fariseo’ cosciente del mio peccato di giudicare, mentre lui è ‘la prostituta’ che… non c’è niente da fare, non cambia), ma le sorprese che ‘l’Equinate’ ci riserva, continuando a leggere il suo veramente gioviale Discorso, non sono finite. In esso veniamo a sapere che sarebbe bastato pochissimo per vedere scomparire prima del tempo la ‘Compagnia dei rospi’ (non lo dico io, lo dice lui):
“Mi ha fatto ridere il sacerdote quando ha parlato di unificare la pastorale dei Gesuiti. Io avevo capito che si trattasse di unificare le anime e i cuori dei Gesuiti, non le modalità, perché se si fa questo finisce la Compagnia di Gesù. Si diceva che il primo ruolo del Generale era di “pascolare i Gesuiti”, e un altro diceva; “Sì, ma è come pascolare un gregge di rospi”: uno di qua, uno di là… Ma questo è bello, perché ci vuole una grande libertà, senza libertà non si può essere Gesuita. E una grande obbedienza al pastore; il quale deve avere il grande dono del discernimento per permettere a ognuno dei “rospi” di scegliere quello che sente che il Signore gli chiede. Questa è l’originalità della Compagnia: unità con grande diversità”.
A questo punto Francesco cita e loda il Discorso che il Beato Papa Paolo VI rivolse ai Gesuiti nella loro XXXII Congregazione generale:
Leggete quel discorso: a mio avviso è il discorso più bello che un Papa abbia fatto alla Compagnia.
Leggetelo anche voi, se volete, Io vi confesso che non l’ho letto interamente. Diciamo che mi è bastato spulciarlo un po’ per rendermi conto, avere ancor più le prove della differenza de “l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità” fra questi due Papi (mi perdoni Gesù che adatto ancora la Parola di Dio), l’abisso di contenuto, di stile, di attuazione del loro ruolo… che li divide, e come alla serietà di Montini faccia da contrappeso la ‘spensieratezza’ conclamata di Bergoglio, il quale giunge a deliziarci con questa sua testimonianza:
Pregate per me, non dimenticatevi! Questo lavoro [del Papa] non è facile… Forse questa sembra un’eresia, ma abitualmente è divertente. Grazie.
Spiritoso anzi che no! Cambia la Dottrina secolare della Tradizione ecclesiale… e lui di diverte! Promuove indegni ecclesiastici a ruoli preminenti in Vaticano… e se la ride! Punisce e sospende fedeli Sacerdoti, Religiosi e Vescovi… e gode tanto! La Chiesa Cattolica va in rovina (se ciò dipendesse da lui e non fosse invece sorretta dal Suo Signore e Sposo Gesù!) e lui sta a guardare soddisfatto e divertito l’incendio della Chiesa di Roma, che, come un Nerone egli stesso ha contribuito ad attizzare, gongolandosi degli applausi e gli ‘evviva’ e i fiori e i premi, che il mondo pagano gli lancia. Ma non è finita! Sentite questa:
“Abbiamo ancora alcuni minuti: se qualcuno di voi vuole fare qualche domanda o qualche riflessione, approfittiamo di questi minuti. Così io imparo dalle vostre eresie…
E ‘così’ un ‘bravo ragazzo’, aspirante alla ‘santità’ (???) nella vita religiosa gesuitica, gli esterna tutta l’angoscia del suo cuore, il suo patema d’animo, il suo dubbio esistenziale e vocazionale, la sua trepidazione per tanti giovani, destinati a non trovare una lavoro, mentre lui un’occupazione ce l’avrà nella Compagnia… mettendo sullo stesso piano il dono della chiamata soprannaturale con quello naturale della dignità di trovare e svolgere un lavoro. Lo complimenta il Papa e si estende a ‘pontificare’ sulla crisi dei giovani, senza lavoro:
“Ma non è una domanda superficiale, quella che tu hai fatto. Il numero dei suicidi giovanili è in aumento, ma i governi – non tutti – non pubblicano il numero esatto: pubblicano fino a un certo punto, perché è scandaloso. E perché si impiccano, si suicidano questi giovani? La ragione principale di quasi tutti i casi è la mancanza di lavoro (problemi sentimentali con i coetanei e di relazione in famiglia… no!?). Sono incapaci di sentirsi utili e finiscono… Altri giovani non se la sentono di affrontare il suicidio (che vigliacchi!), ma cercano un’alienazione intermedia con le dipendenze, e la dipendenza, oggi, è una via di fuga da questa mancanza di dignità”.
Concludo con “questa mancanza di dignità”, che è poi la ragione teologica fondamentale bergogliana per dare speranza agli assassini (i quali hanno comminato la pena di morte alle loro vittime), che non saranno sanzionati con la pena di morte da quel boia dello Stato, già troppo occupato a eliminare milioni di piccoli innocenti indifesi con la pratica legale, assistita e gratuita del crimine dell’Aborto. Concludo con la richiesta di Francesco ai Partecipanti all’Incontro “European Jesuits in Formation”:
Preghiamo la Madonna: Ave o Maria…
[Benedizione]
E non dimenticatevi, per favore, quei due discorsi: quello del Beato Paolo VI, nel 1974, alla XXXII Congregazione generale, e quello di Padre Arrupe in Tailandia, il suo canto del cigno, il suo testamento.
Sì, perché ha citato anche quello di Arrupe in Tailandia, dicendo che poi sbarcò dall’aereo di ritorno con un ictus, e morì. Diciamo un: Eterno riposo… per lui e per tutti quelli che anche oggi moriranno e che non potranno citare Bergoglio e accampare “l’offesa alla loro dignità”, in caso di ‘pena capitale all’Inferno’. Il Figlio di Dio, Gesù, che morì condannato a morte sulla Croce, ci salvi dalla Dannazione eterna. La Sua Santissima Madre e Mamma Nostra Maria, interceda per noi peccatori.
Don Felice Prosperi
Morichella di San Ginesio, 2 agosto 2018
Molto pertinente.. Don Felice, tra ironia e tragedia… nelle parole del vescovo di Roma mi colpisce il tono da bar sport di periferia. Credo che sia la prima volta nella storia della Chiesa perché Papi molto “chiaccherati” come Pio II, Leone X, Giulio II, Alessandro VI… quando parlavano… (ci sono alcuni discorsi su internet).. sapevano di parlare come vicari di Cristo.. Per quanto riguarda la modifica dell’articolo 2276, quello che a me colpisce è la totale sottomissione della Chiesa ai principi degli Stati moderni sanciti dall’uomo nuovo che si è fatto Dio…
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ritorno sull’argomento dell’abito, perché non è facile da mandar giù. Per il vescovo di Roma indossare la talare è una questione di “moda” del momento. Anche se sono certo che non è “farina del suo sacco”, ma di un sacco molto più rovente, comunque vale la pena di commentare, visto che ne va di mezzo la credibilità di qualcuno, nella Chiesa, ormai in netta minoranza, che invece non ha perso la testa…
Recentemente, arrivando con mia moglie ad un incontro di catechesi a cui eravamo stati “premurosamente” invitati, siamo stati accolti da un tale sui 35, in jeans e giubbotto di pelle, che, per tutta la serata ha fatto interventi, secondo lui, spiritosi, da teatrino improvvisato in serata di addio al celibato… Ad un certo punto, mentre mi arrovellavo sul tema.. “.. questo che vole…!!”, chiedo a mia moglie “ ma questo …..…………. chi è….!!??”, lei, tirandomi un calcio da sotto la sedia, mi fa “..schhhh…. quello è un prete!!..” … “ahhhh…. non s’era capito !!”.
Ci hanno abbindolato con i luoghi comuni, da fila interminabile del supermercato, del tipo “non è l’abito che fa il monaco…”… solo che i proverbi, che derivano da un deposito di saggezza popolare, vanno bene per i periodi normali. Questo non è un periodo normale… quindi possiamo tranquillamente affermare che “È L’ABITO CHE FA IL MONACO”.
A caldo, sono andato a rintracciare un paio di citazioni, di cui la prima, mi sorprende un po’ visto da dove viene… Non sarà che il periodo che stiamo vivendo è talmente “fuori controllo” che sorprende persino i più insospettabili aconfessionali…
Dal Corriere della Sera del 17 febbraio 2013:
“dietro il rifiuto dell’abito religioso vi è una teologia, vi è la negazione protestante di un sacerdozio «sacrale», che distingua il prete dal credente comune; vi è il rigetto della prospettiva cattolica che, col sacramento dell’ordine, rende un battezzato «diverso», «a parte». Il sacerdote non come testimone del Sacro, non come «atleta di Dio» (l’immagine è di san Paolo) in lotta per la salvezza dell’anima propria e dei fratelli contro le Potenze del male, bensì uomo come gli altri, distinto semmai solo dal maggiore impegno sociopolitico….”
La seconda da un intervento di Don Roberto Gulino, docente di Teologia:
“La questione sull’abbigliamento del sacerdote trova risposta anche nel recente intervento di Papa Benedetto XVI alla riunione plenaria della Congregazione per il Clero avvenuta lo scorso 16 marzo (ne riportava notizia anche l’ultimo numero di Toscana Oggi, del 29 marzo, a pag IV, nella rubrica «La parola del Papa»); il Santo Padre, dopo aver richiamato le dimensioni principali e fondative del ministero presbiterale, conclude con le seguenti parole: «Urgente appare anche il recupero di quella consapevolezza che spinge i sacerdoti ad essere presenti, identificabili e riconoscibili sia per il giudizio di fede, sia per le virtù personali, sia anche per l’abito, negli ambiti della cultura e della carità, da sempre al cuore dell’annuncio cristiano». Si noti bene la scansione, come dei cerchi concentrici, che riguarda prima di tutto la dimensione essenziale ed esistenziale della fede, poi quella dell’atteggiamento concreto nella vita, ed infine l’aspetto di riconoscibilità che può esser dato anche esteriormente dall’abbigliamento.
………….
Perché allora, anche nel ministero sacerdotale, non provare ad «essere» ed «apparire»? Ripeto: non solo apparire, ma «essere-ed-apparire»; non per lo scopo di farsi vedere e ricevere l’applauso dalla gente (avremmo già ricevuto la nostra ricompensa!), ma per comunicare ed annunciare che abbiamo incontrato il Signore, che Lui ci ha chiamato e che noi proviamo a seguirlo nelle nostre povertà.
Del resto penso sia questo lo spirito che spinge un tifoso della Fiorentina (mi si passi l’esempio calcistico) a portare con orgoglio la sciarpa viola o la maglietta del suo calciatore preferito, per far vedere a tutti che la sua squadra del cuore è quella e non un’altra.
In questa dimensione della testimonianza si possono comprendere le parole del Direttorio per la vita dei presbiteri che al numero 66 dice: «Il presbitero deve essere riconoscibile anzitutto per il suo comportamento, ma anche per il suo vestire, in modo da rendere immediatamente percepibile ad ogni fedele, anzi ad ogni uomo, la sua identità e la sua appartenenza a Dio e alla Chiesa». Il testo del Direttorio continua riportando il canone 284 del Codice di Diritto Canonico: «I chierici portino un abito ecclesiastico decoroso, secondo le norme emanate dalla Conferenza Episcopale e le legittime consuetudini del luogo». Per quanto riguarda la nostra Conferenza Episcopale Italiana, il 23 novembre 1983 è stata emanata la seguente norma, in vigore dal 23 gennaio 1984: «Salve le prescrizioni per le celebrazioni liturgiche, il clero in pubblico deve indossare l’abito talare o il clergyman».
Quindi, non è proprio una questiona lasciata alla libera scelta del singolo sacerdote.”
SIC TRANSIT GLORIA MUNDI…
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