Il “nuovo Gesù” della “nuova chiesa” della nuova Compagnia?

Quanto segue sono riflessioni che intendono mettere a nudo, o meglio in luce, quel Modernismo che ha dato alla Compagnia fondata da Sant’Ignazio, una vera e nuova connotazione portata a compimento da Pedro Arrupe nella XXXII Congregazione degli Anni ’70.

Pierre Teilhard de Chardin (© Corbis via Getty Images)

Il grande teologo argentino Julio Meinvielle (1905-1973) nella sua operetta del 1964 intitolata Sul progressismo cristiano, riportava che il gesuita Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955), negli anni ’50 del XX secolo, celebrava una “messa” tutta sua. Non usava un altare, ma un tavolo, non consacrava il pane e il vino, ma offriva il mondo, la materia, al Dio “cosmico”.

La stragrande maggioranza dei gesuiti sostenevano le sue innovazioni, incuranti dei continui richiami del preposto generale dell’epoca, il padre Jean-Baptiste Janssens (1889-1964), poiché sapevano che presto, prestissimo, ci sarebbe stato un concilio ecumenico che avrebbe approvato tutte le “riforme” che essi chiedevano.

E venne quel concilio ecumenico, il Vaticano II (1962-1965) i cui protagonisti principali furono due gesuiti, il francese Henri de Lubac (1896-1991) e il tedesco Karl Rahner (1904-1984), esponenti di quella nouvelle theologie condannata da Pio XII con l’enciclica Humani generis del 1950. Gli altri periti progressisti o stavano dalla parte di de Lubac, la cui corrente era moderata, oppure da quella di Rahner, che era invece radicale.

Henri de Lubac (© Keystone-France / Gamma-Rapho via Getty Images)

Al Vaticano II ebbe la meglio la corrente di de Lubac, poiché Giovanni XXIII e Paolo VI non volevano cambiare il Depositum Fidei, né rinnegare il passato, ma rinnovare, “svecchiare” la Chiesa, considerando la teologia romana, cioè la scolastica tomista, — secondo loro — inadeguata per inseguire il mondo moderno che stava andando sempre più lontano dal Cristianesimo.

Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno seguito questa linea, denunciato sì gli abusi e gli eccessi, ma non condannando gli errori, perché non potevano accettare che quegli stessi errori venivano da quello stesso Concilio a cui avevano partecipato e creduto fortissimamente. Il problema non era il Vaticano II ma la sua cattiva interpretazione, propagata dal suo sedicente “spirito”.

Siamo davvero sicuri che si tratto solo di un problema d’ermeneutica? Paolo VI ha applicato un’ermeneutica della riforma nella continuità, lo dimostrano tutte le sue udienze del mercoledì dal 1968 al 1978, in cui denunciava quel pensiero non cattolico che stava diventando maggioritario nella Chiesa cattolica.

Karl Rahner (© Bettmann / Corbis via Getty Images)

Eppure, in un sondaggio del 1972, fatto nelle università e nelle scuole cattoliche, risultava che il più grande teologo di tutti tempi fosse niente meno che il 68enne gesuita Rahner. Erano appena passati dieci anni dall’apertura del Vaticano II e sette dalla sua chiusura, e non solo San Tommaso d’Aquino, il Dottore comune dei teologi, era stato dimenticato, ma persino il 76enne gesuita de Lubac era antiquato.

Questo perché c’era fretta, molta fretta. Gli innovatori aspettavano quei cambiamenti da circa 200 anni e non si poteva più aspettare. “Riforme” che la Compagna di Gesù aveva fatto proprie già dagli inizi del XX secolo e che finalmente poteva applicare a tutta la Chiesa. Fu il basco Pedro Arrupe, preposto generale dal 1965 fino al commissariamento del 1981 — nonché grande mentore di Jorge Mario Bergoglio —, il più efficace divulgatore dello “spirito del Vaticano II”.

Pedro Arrupe (© Fairfax Media via Getty Images)

Ecco perché solo un papa gesuita poteva portare a compimento le riforme rivoluzionarie dello “spirito del Vaticano II”.

Francesco è il primo papa a non aver partecipato al Vaticano II, ma è il primo ad averlo vissuto. Egli non è interessato alle sue ermeneutiche, perché il suo intento è sbloccare il rallentamento di quei processi di apertura e cambiamento che ci fu durante i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

«Lei per me è il Papa dei miei sogni dopo il Concilio Vaticano II», ha detto al Papa un confratello portoghese. Come infatti San Pio V è stato il grande realizzatore del Concilio di Trento, così è Francesco il grande realizzatore del Vaticano II.

È importate capire questo perché si deve accettare che questo pontificato non è un incidente di percorso sulla strada della riforma, ma né è il frutto maturo.

Papa Francesco durante un incontro con i fedeli il 19 maggio del 2013 (© Franco Origlia / Getty Images)

Tutto quello che papa Francesco ha detto recentemente durante il suo viaggio a Lisbona — “includere” tutti  senza chiedere la conversione, una Chiesa con le porte aperte, etc… — non sono novità, perché già ne ha parlato in precedenza (per esempio qui e qui), ma egli ha fretta di portare a compimento il cambiamento della Chiesa col sinodo sulla sinodalità, perché gli anni passano, il tempo vola, e vuole essere sicuro che il suo successore continui su questa strada.

Ma come sarà questa nuova Chiesa sinodale e non cattolica?

La Civiltà Cattolica dello scorso 17 giugno ha scritto che è necessario «riconfigurare la Trinità» perché in passato si è dato troppo risalto al Cristo a discapito dello Spirito Santo.

Il blasfemo musical “Jesuschrist Superstar” a Broadway nel 1971. Pochissimo ne sono a conoscenza, ma la sceneggiatura fu scritta da alcuni gesuiti alla fine degli ’60 (© Bettmann / Corbis via Getty Images)

E Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, scrivendo un commento al Vangelo del 20 agosto, pubblicato da Il Fatto quotidiano, ha sostenuto che Gesù, con la donna cananea, ha “peccato” di rigidità, rimanendo fermo sulla Dottrina, ma poi si è “convertito”, capendo che le persone sono più importanti della teologia.

Dato che pochi possono vivere in pienezza il Decalogo, la Legge Divina — questo è anche quello che il Papa ha ribadito ai confratelli portoghesi — la Chiesa deve prenderne atto, e includere coloro che vivono secondo le loro possibilità, senza accusarli di essere peccatori. Come ha fatto il Gesù umanizzato di Spadaro & Co.

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