La “Chiesa diversa” di papa Francesco. La “peste nera” si diffonde…

È impossibile capire il pontificato di Francesco, nonché il suo progetto di “Chiesa diversa” (parole da egli stesso dette il 9 ottobre e che approfondiremo in quest’articolo), senza comprendere la mentalità dell’uomo e del gesuita Jorge Mario Bergoglio, la cui matrice è intrinsecamente moderna, perciò – purtroppo per lui e per tutti i battezzati – modernista.

Non è da sottovalutare l’affermazione di Benedetto XVI, per l’Anno della Fede 2012-2013 che affermava esattamente il contrario: “I Padri conciliari non potevano e non volevano creare una Chiesa nuova, diversa. Non avevano né il mandato né l’incarico di farlo. Erano Padri del concilio con una voce e un diritto di decisione solo in quanto vescovi, vale a dire in virtù del sacramento e nella Chiesa sacramentale. Per questo non potevano e non volevano creare una fede diversa o una Chiesa nuova o diversa...” (clicca qui per il testo integrale ed originale)

San Pio X (1903-1914), il papa profeta, durante gli ultimi anni del suo pontificato, osserverò che se i suoi immediati successori non avessero attentamente vigilato e severamente corretto, il modernismo – che lui aveva smascherato con la Pascendi – avrebbe rialzato la testa, mutando il suo aspetto, così, lentamente ma inesorabilmente, si sarebbe impossessato della stragrande maggioranza dei seminari e delle cattedre episcopali, se non addirittura arrivare alla cattedra più alta…

Purtroppo né Benedetto XV (1914-1922) né Pio XI (1922-1939) – “distratti” da eventi esterni che richiedevano tutta la loro attenzione (la prima guerra mondiale e l’avanzata dei regimi totalitari anticattolici) – non vigilarono, né tanto meno corressero come avrebbe dovuto fare, limitandosi a raccomandare ai vescovi che nei seminari si desse importanza al Giuramento antimodernista e all’insegnamento della filosofia tomista.

Il venerabile Pio XII (1939-1958), invece, dopo la fine della seconda guerra mondiale, si accorse che il modernismo aveva prepotentemente occupato seminari e cattedre episcopali – tramite la nouvelle theologie, che lui condannò con l’enciclica Humani generis – e cercò di porvi un freno, ma non efficacemente, purtroppo.

L’avanzata del neomodernismo

Fu così che si arrivò al Concilio Vaticano II, convocato e concluso da due papi, Giovanni XXIII e Paolo VI (canonizzati da papa Francesco), che erano, diciamo così, “simpatizzanti” dell’ala moderata della nouvelle theologie, cioè della corrente francese (rappresentata dal gesuita Henri de Lubac e dal domenicano Yves Congar).

Come giustamente ha fatto notare don Gino Oliosi, teologo ed esorcista, i documenti del Vaticano II non sono altro che un compromesso fra la teologia romana e la nouvelle theologie. Ma, si sa – aggiungiamo noi –, il compromesso è sempre più vicino all’errore che alla verità… Di conseguenza, nel post-Vaticano II, non poté che vincere l’ala radicale della nouvelle theologie, ovvero la corrente tedesca (capeggiate dal gesuita Karl Rahner).

Vivere il Vaticano II

Fra tutti gli ordini religiosi, ve ne fu uno, in particolare, che si “appropriò” della “missione” di applicare l’insegnamento – spirito e lettera sono le due facce della stessa medaglia – del Vaticano II: la Compagnia di Gesù; guidata dal 1965 al 1981 dal basco Pedro Arrupe, vero mentore di Jorge Mario Bergoglio.

Il papa regnante è cresciuto in una Compagnia impregnata del pensiero moderno e della mentalità modernista già da prima del suo ingresso (1958), che sì vide non condannata, ma persino “confermata” al 21° concilio ecumenico della Chiesa cattolica. Quella «peste nera che si estende», come egli stesso ha definito il suo Ordine, con soddisfazione e compiacimento. C’è dunque da meravigliarsi delle rotture teologiche, delle ambiguità dottrinali e dei gesti ecopastoralistirasentando l’idolatria – del suo pontificato? Sarebbe strano il contrario, invece.

Il 21° concilio ecumenico dunque «era entrato nel nostro modo di essere cristiani e di essere Chiesa e, nel corso della mia vita, le mie intuizioni, le mie percezioni e la mia spiritualità sono state generate naturalmente dai suggerimenti della dottrina del Vaticano II», perciò «non c’era tanto bisogno di citare i testi del Concilio», ha scritto lo stesso papa Francesco nella sua prefazione al libro Fraternità, segno dei tempi. Il magistero sociale di papa Francesco (Ed. LEV).

In fondo, il vero insegnamento del Vaticano II – al di là dei suoi documenti (i quali sono più programmatici che magisteriali in senso stretto) – consiste proprio nel primato della pastorale (della prassi) sulla Dottrina, nel primato dell’azione sulla contemplazione, nel primato del divenire sull’essere, nel primato della libertà umana sulla verità rivelata, nel primato dell’antropocentrismo sul teocentrismo, ecc… Insomma, fu un vero e proprio ribaltamento.

L’uomo, il gesuita e il papa sono un tutt’uno

La mentalità dell’uomo e del gesuita Jorge Mario Bergoglio – dunque di papa Francesco, perché egli vuole rimanere tale anche sul trono petrino – sono di matrice moderna, perciò – purtroppo per lui e per tutti i battezzati – modernista.

«È ormai assodato che le ascendenze culturali del Santo Padre affondano le loro radici nell’immanentismo, nello storicismo, nella fenomenologia etica, un approccio che accantona nella morale la metafisica e nella fede l’afflato trascendente», ha spiegato il filosofo del diritto Tommaso Scandroglio. «Insomma, una visione dell’uomo, del mondo e di Dio più orizzontale che verticale».

Avendo dunque una visione moderna/modernista di Dio, non si può che avere anche una visione diversa, anzi distorta, della Chiesa.

Si tratta della visione di una Chiesa umana, non divina, di un “sogno”, di un “progetto” che dev’essere realizzato, costi quel costi.

L’apertura del cammino sinodale che porterà al sinodo sulla sinodalità nel 2023 (un’altra trovata di questo Papa)[1] è un ulteriore passo in questa direzione.

«Ci sono molte resistenze a superare l’immagine di una Chiesa rigidamente distinta tra capi e subalterni, tra chi insegna e chi deve imparare, dimenticando che a Dio piace ribaltare[2] le posizioni…», ha detto papa Francesco in un discorso tenuto il 18 settembre alla Diocesi di Roma. Poi ha aggiunto qualcosa di altrettanto grave, ovvero che «la sinodalità esprime la natura della Chiesa la sua forma, il suo stile, la sua missione. E quindi parliamo di Chiesa sinodale, evitando, però, di considerare che sia un titolo tra altri, un modo di pensarla che preveda alternative. Non lo dico sulla base di un’opinione teologica, neanche come un pensiero personale, ma seguendo quello che possiamo considerare il primo e il più importante “manuale” di ecclesiologia, che è il libro degli Atti degli apostoli».

Non sappiamo quale versione degli Atti degli Apostoli abbia letto papa Francesco[3], ma questo è contrario a tutto ciò che la Chiesa, tramite concili ecumenici e 265 Romani Pontefici prima di quello regnate, ha decretato e insegnato infallibilmente.

Infatti «la Chiesa fondata da Gesù Cristo non è una Chiesa “sinodale”, ma una Chiesa gerarchica, che non ha bisogno di interrogarsi su sé stessa, né di avanzare verso l’ignoto, perché il Suo Fondatore le rivelato la sua missione e ne ha stabilito l’immutabile costituzione», ha spiegato magistralmente il prof. Roberto de Mattei.

Il vecchio desiderio (capriccio) della “Chiesa diversa (nuova)”

Ma papa Francesco non sembra interessato a ciò, convinto com’è che questo “cammino sinodale” sia voluto e guidato dallo Spirito Santo – dimentico o non curante del fatto che la Terza Persona non segue un suo “percorso”, ma procede dalla Prima e dalla Seconda Persona della Santissima Trinità –, come ha lasciato intendete nel discorso di apertura percorso sinodale lo scorso 9 ottobre.

Non a caso papa Francesco ha lanciato la «sfida», parole sue, di «una “Chiesa diversa”, aperta alla novità che Dio le vuole suggerire, invochiamo con più forza e frequenza lo Spirito e mettiamoci con umiltà in suo ascolto, camminando insieme, come Lui, creatore della comunione e della missione, desidera, cioè con docilità e coraggio».

Ribadendo – e citando – la “riforma” secondo Yves Congar: «”Non bisogna fare un’altra Chiesa, bisogna fare una Chiesa diversa[4]» (Vera e falsa riforma nella Chiesa, Milano 1994, 193).

Del resto, quello di modificare la Chiesa dal suo interno, è il solito vecchio progetto dei modernisti. «Fino ad oggi – aveva spiegato il “grande vecchio” del modernismo italiano, Ernesto Buonaiuti, – si è voluto riformare Roma senza Roma, o magari contro Roma. Bisogna riformare Roma con Roma; fare che la riforma passi attraverso le mani di coloro i quali devono essere riformati».

Pare proprio che il timore di San Pio X, forse addirittura “visto” da Leone XIII nella famosa visione del 13 ottobre 1884, dall’avvento di un papa modernista, si sia realizzato…


[1] Che sia questo il sinodo annunciato a Garabandal?

[2] Il grassetto è nostro.

[3] Del resto egli è molto abile a manipolare la Sacra Scrittura, come vediamo ogni giorno dalle sue omelie del mattino.

[4] Il corsivo è del sito della Santa Sede.

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