Papa Francesco vuole la Chiesa unita, eppure crea divisioni…

L’11 ottobre papa Francesco ha ricordato il 60° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II. Nel suo discorso ha ribadito l’essenzialità della sua piena accettazione da parte di tutti i fedeli e ha condannato gli “opposti estremismi”, ovvero il tradizionalismo e il progressismo. Analizzando questo discorso — in un articolo che abbiamo tradotto per i nostri lettori —, l’attento vaticanista Andrea Gagliarducci rileva ancora una volta la problematica di questo pontificato. Francesco, infatti, governa la Chiesa imponendo d’autorità il suo “progetto” su di Essa — anziché confermare i fratelli nella Fede —, sentendosi egli “autorizzato” dall’Alto a farlo poiché è stato eletto papa. Perciò quando richiama all’unità e condanna gli “opposti estremismi” sta stigmatizzando le critiche che gli giungono da vari settori del mondo cattolico.

Papa Francesco e la crisi dell’unità

di Andrea Gagliarducci (17 ottobre 2022)

Forse è destino che i papi giungano pieni di amarezza agli anniversari del Concilio Vaticano II. Dieci anni fa Benedetto XVI, affacciandosi alla finestra del Palazzo Apostolico, pronunciò un discorso amaro, che richiamava l’attenzione sui “pesci cattivi” nella rete della Chiesa e che guardava con nostalgia all’entusiasmo che dominava cinquant’anni prima.

L’11 ottobre papa Francesco ha ricordato il 60° anniversario dell’apertura del Concilio con un duro discorso, che denunciava le polarizzazioni e chiedeva ai cattolici di rimanere uniti perché «una Chiesa innamorata di Gesù non ha tempo per scontri, veleni e polemiche».

Le parole di papa Francesco impressionano perché colpiscono nel segno: «Quante volte, dopo il Concilio, i cristiani si sono dati da fare per scegliere una parte nella Chiesa, senza accorgersi di lacerare il cuore della loro Madre! Quante volte si è preferito essere “tifosi del proprio gruppo” anziché servi di tutti, progressisti e conservatori piuttosto che fratelli e sorelle, “di destra” o “di sinistra” più che di Gesù; ergersi a “custodi della verità” o a “solisti della novità”, anziché riconoscersi figli umili e grati della santa Madre Chiesa».

Eppure, quando si leggono queste parole del Papa, rimane una sensazione agrodolce.

Papa Francesco fa della ricezione del Concilio Vaticano II uno dei temi principali del pontificato. Il Traditionis Custodes, che di fatto abolisce — con poche eccezioni — l’antico Rito della storia della Chiesa, è giustificata proprio dalla volontà di portare a compimento il Concilio Vaticano II.

Papa Francesco non manca mai di mettere in guardia dal fare marcia indietro, che considera un’ideologia pericolosa. Il tradizionalismo “indietrista” è uno dei maggiori pericoli per la Chiesa, al pari del «progressismo che accetta il mondo» perché entrambi sono «infedeltà»,  «egoismi pelagiani, che antepongono i propri gusti e i propri piani all’amore che piace a Dio».

Tutto giusto. Eppure, guardando al pontificato e alle decisioni di papa Francesco, non si può fare a meno di notare che in diversi casi il Papa ha oscillato tra queste due infedeltà, cercando un equilibrio che, in realtà, ha faticato a trovare.

Il Traditionis Custodes ne è il primo esempio perché, con quella decisione, il Papa chiude le porte a un movimento liturgico che cresce nella Chiesa e non nasce fuori dalla comunione con il Papa.

Papa Francesco sembra scegliere la coerenza, chiedendo alla Chiesa di rimanere sulla stessa linea. Crea una divisione. In effetti, fa più di una divisione. Alcuni vescovi hanno seguito pedissequamente le norme, altri le hanno interpretate liberamente. Ci saranno fedeli che accetteranno le nuove decisioni e altri che si uniranno al mondo tradizionalista.

Benedetto XVI, nell’aprire le porte al mondo tradizionale, aveva chiesto anche ai membri della Fraternità Sacerdotale San Pio X di firmare un preambolo dottrinale per tornare alla piena comunione con Roma [in realtà l’iniziativa fu presa dall’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, mons. Gerhard L. Muller, ndt]. Tale preambolo prevedeva l’accettazione del Concilio Vaticano II.

Papa Francesco, d’altra parte, intraprende la strada per spazzare via ogni resistenza. Così facendo, però, lascia tutti dove sono, senza perdere nulla, ma senza guadagnare nulla.

Papa Francesco ha chiesto di evitare la polarizzazione e di preservare la comunione, superando «le nostalgie del passato, il rimpianto della rilevanza, l’attaccamento al potere».

Ancora una volta, è un messaggio che suona ambiguo a vari livelli. Chiedere di superare il rimpianto dell’attualità e della nostalgia è dare per scontato che il mondo cattolico rimpianga ancora il periodo in cui ha pesato sulle cose mondiali e in cui ha avuto potere.

Eppure, già nel 2011 in Germania, Benedetto XVI aveva parlato di “tendenze secolari” che erano state provvidenziali per demondanizzare la Chiesa perché potesse tornare a Gesù. Non si tratta, quindi, di un nuovo appello.

Ma poi papa Francesco è stato molto politico nelle sue decisioni, attento ad avere peso anche nel mondo laico. In molti casi, le sue decisioni hanno sacrificato persone sull’altare dell’ipocrisia, come ha ammesso egli stesso quando ha spiegato perché aveva accettato le dimissioni dell’arcivescovo di Parigi, mons. Michel Aupetit.

Anche la decisione di processare un cardinale nel tribunale vaticano, come sta accadendo adesso, risponde a una decisione di mostrare al mondo un particolare tipo di governo.

Papa Francesco vuole che tutti siano messi su un piano di parità, che i sacerdoti non si sentano al di sopra dei laici e che i vescovi non abbiano un potere maggiore dei sacerdoti. Così facendo, però, decostruisce un mondo, svuota i simboli di senso e, paradossalmente, non conduce la Chiesa verso il Concilio. Invece, la fa tornare a un periodo in cui contava solo l’autorità del papa.

E vediamo ogni giorno che, al di là dei proclami di una “Chiesa sinodale”, conta solo l’autorità del Papa. Pertanto, gli appelli di papa Francesco all’unità della Chiesa suonano più come una denuncia personale per le critiche mosse contro di lui da vari settori della Chiesa.

Il ragionamento sembra essere che, se lui è il Papa, è perché lo Spirito Santo ha ispirato la sua elezione, quindi dovrebbe essere sostenuto, non criticato.

Il Papa lo richiede, domandando il rifiuto degli atteggiamenti autoreferenziali. Così facendo, dimostra di essere lui stesso autoreferenziale. Ed è questa autoreferenzialità che, prima di tutto, crea divisione. Apparentemente, negli ultimi anni, all’interno della Chiesa è mancato il sano dibattito da cui nasce la vera unità.

(fonte: mondayvatican.com)

Lascia un commento