Pastoralmente Papa Francesco è aperto a tutti, ma… anche no…

Francesco non è solo il papa del “Chi sono io per giudicare un gay?” e della Fiducia Supplicans, ma pure del categorico e definitivo no ai sacerdoti omosessuali, come è trapelato dal suo incontro con i vescovi italiani dello scorso maggio. Com’è possibile conciliare tutto questo? Per rispondere a questa domanda pubblichiamo un articolo del vaticanista Andrea Gagliarducci che pubblichiamo con una nostra traduzione. Di seguito aggiungiamo anche un articolo di Roberto de Mattei in viene raccontato che la piaga del clero corrotto dalla sodomia non è una novità di questo secolo e di come la Chiesa, governata da Nostro Signore, abbia sempre superato le tempeste.

Papa Francesco e la questione dei seminari

di Andrea Gagliarducci (03-06-2024)

Non c’è bisogno di gridare al complotto, di incolpare le lobby anti-Francesco o di affermare che c’è del lavoro in corso per spingere per un conclave. Il fatto è che nessuno dovrebbe sorprendersi che la volgare descrizione del Papa per l’ambiente gay, spesso riscontrata nei seminari italiani, sia trapelata dalla nuova aula sinodale e sia arrivata davanti al vasto pubblico.

Succede quando si parla con più di cento persone, anche se a porte chiuse. Soprattutto quando è a porte chiuse . L’accaduto deve farci riflettere su una questione ancora più importante: cosa pensa veramente Papa Francesco e come riesce a mantenere la coerenza tra pensieri e azioni.

Prima di tutto, un po’ di backgroundLe parole del Papa sono avvenute in un incontro a porte chiuse con i vescovi della Conferenza Episcopale Italiana. Sono momenti a volte tesi in cui Papa Francesco si lascia andare verbalmente.

Il Papa risponde ad una domanda sui criteri di ammissione ai seminari. Ora, già la Ratio fondamentalis per l’ammissione ai seminari, aggiornata nel 2016, diceva no agli aspiranti preti che fossero omosessuali o, soprattutto, che sostenessero apertamente la cultura gay.

Quella Ratio dovrà ora essere attuata dai vescovi italiani, che da tempo discutono sulle norme nazionali per l’ammissione ai seminari. Il testo approvato nell’assemblea generale del novembre 2023 è ancora in attesa dell’approvazione della Congregazione per il Clero. Sembra che il testo della CEI preveda la possibilità di accesso agli ordini sacri per le persone con tendenze omosessuali “non radicate”.

Il decreto del Dicastero per il Clero del 2016 afferma: “Pur rispettando profondamente le persone [con tendenze omosessuali], non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay”.

Presa di per sé, questa affermazione può lasciare solo una crepa nella finestra, ma solo se la si cerca davvero.

Il sito tradizionalista, solitamente ben informato, Messa in Latino, ha discusso di questa possibile discrepanza tra il testo dei vescovi italiani e il decreto della Congregazione per il Clero. Stranamente, la CEI non ha ancora ricevuto l’approvazione di un testo che avrebbe dovuto rispecchiare le linee guida fornite dal Dicastero per il Clero, seppure con le dovute sfumature nazionali .

Tuttavia, il testo di sintesi mostra anche la varietà delle posizioni della Chiesa italiana, che sembra lontana da quel blocco monolitico di principi che aveva caratterizzato il primo ventennio del XXI secolo.

Da qui la domanda al Papa sull’accesso degli omosessuali ai seminari.

Da qui la risposta del Papa.

È stata una risposta rabbiosa perché il Papa ha sempre avuto le idee chiare su questo tema. Ciò va oltre il linguaggio colorito da lui utilizzato, che in definitiva dice molto sulla personalità di Papa Francesco, ma forse dice poco sui suoi reali sentimenti.

Come conciliare questa presa di posizione con quella che veniva considerata apertura sulla questione gay?

È compatibile semplicemente perché il Papa distingue le linee governative da quelle pastorali. I principi con cui governa sono una cosa. Come verbalizza le cose in pubblico, un’altra.

Papa Francesco presta una grande attenzione all’opinione pubblica e, a un certo punto, dobbiamo anche accettare che il Papa faccia le sue scelte pastorali considerando le possibili reazioni.

Non solo. Papa Francesco non vede alcuna contraddizione tra una scelta pastorale e una scelta dottrinale. Pastoralmente Papa Francesco è aperto a tutti, e non ha paura di mostrarsi accogliente, senza pregiudizi e di volere che tutti siano sulla stessa strada. Il problema generalmente si pone quando entra in gioco il livello istituzionale.

Supponiamo che dottrina e pastorale non si escludano a vicenda quando anche la pastorale è regolata su questioni che meritano un discernimento “non burocratico”. In tal caso, la pratica pastorale rischia di entrare in contraddizione con la dottrina. Essendo, infatti, una pratica dotata di regole, essa contrasta con le regole della dottrina, creando un cortocircuito che, come minimo, scontra con il principio di non contraddizione.

La Fiducia supplicans fornisce un chiaro esempio: nel certificare qualcosa che i sacerdoti hanno sempre fatto (cioè una benedizione individuale con il segno della croce, senza troppe formalità, quando richiesta), la dichiarazione ha creato un cortocircuito che prevedeva addirittura una sorta di manuale in modo che queste benedizioni riflettano ciò che dice la dichiarazione. Cioè, non c’è alcuna legittimazione delle coppie omosessuali e nessuna apertura alla benedizione per tutti, se non nella pratica e che lo dice nero su bianco.

Quando si tratta della decisione davanti ai vescovi italiani, o non vedono contraddizioni, oppure sono consapevoli delle conseguenze di alcune scelte.

Usando un’espressione volgare per descrivere i gay, papa Francesco ha mostrato il fastidio che prova quando le domande lo mettono con le spalle al muro. La domanda, legittimamente posta, aveva lo scopo di chiedere al Papa di assumersi la responsabilità di alcune scelte. Il Papa ha voluto rispondere con forza, quasi a voler chiudere il discorso.

Papa Francesco, in altre parole, si è sbraitato da solo. Resta da vedere, però, se tutto ciò si tradurrà in una vera e propria non ammissione dei gay in seminario.

In definitiva, la parte più essenziale della formazione sacerdotale è che i responsabili non siano promotori della cultura gay. In definitiva, ha senso: la cultura gay tende a sostenere molte cose che la Chiesa non può accettare. Inutile dire – o dovrebbe – che ci debba essere una sollecitudine pastorale per le persone gay. Sui principi che devono ispirare la cultura – compresa la cultura clericale, a partire dalle case o dalla formazione – non c’è davvero spazio per il dibattito. Un uomo non può diventare prete se non crede nella dottrina cattolica fondamentale. In teoria, almeno.

In ogni caso, oggi non siamo di fronte ai detrattori del Papa che vogliono rovinare gli ultimi anni del suo pontificato. Siamo di fronte ad una fuga di notizie, probabilmente diffusa da un vescovo deluso, che mostra il Papa per quello che è veramente, pur senza alcuna prova di ciò che il Papa ha effettivamente detto o scritto.

In realtà la questione dei seminari è molto più profonda. E andrebbe affrontata anche solo per far fronte al drammatico calo delle vocazioni.

[FONTE: Monday Vatican]


Papa Francesco e San Pier Damiani

di Roberto de Mattei (02-06-2024)

Le parole sull’omosessualità nei seminari pronunciate da Papa Francesco durante l’assemblea generale della Conferenza episcopale italiana, tenutasi a porte chiuse lo scorso 20 maggio, sono state al centro dei commenti di tutti i media. Le parole sono sembrate sorprendenti non solo per il linguaggio come minimo popolaresco, usato dal Pontefice, ma anche per il fatto che la sua battuta è sembrata segnare un’inversione di linea rispetto al “chi sono io per giudicare” dell’inizio del suo pontificato. 

Secondo una attendibile ricostruzione del blog Messainlatino il Papa ha voluto bloccare o quantomeno frenare un testo della Conferenza Episcopale Italiana che, in contraddizione con le norme vigenti prevederebbe il libero accesso ai seminari e agli ordini sacri delle persone con tendenze omosessuali “non radicate” Antonio Socci su Libero del 29 maggio vi vede una clamorosa sconfessione della linea che il cardinale Zuppi ha imposto alla Conferenza Episcopale da lui presieduta. Il contrasto sarebbe anche politico, perché, alla vigilia delle elezioni europee, Zuppi sarebbe schierato con la sinistra, mentre il Papa avrebbe simpatie per Giorgia Meloni. Il teologo progressista Vito Mancuso ha scritto che il Papato di Francesco è caratterizzato da grandi promesse e pochi risultati: “Ricorda Pio IX, che iniziò con grandi speranze e finì con la più dura intransigenza… l’impressione è quella di un lento declino….“.

Corrado Gnerre su Il Cammino dei Tre Sentieri, del 30 maggio, trae spunto dalle contraddizioni del pontificato per rivolgere un invito a riflettere sul mistero del primato petrino, e quindi al fatto che la Chiesa è sempre governata da Gesù Cristo, che non permetterà mai che possa ribaltarsi e soccombere alla tempesta.  

Possiamo aggiungere che di tempeste la Chiesa ne ha subite molte nella sua storia, come accadde nell’undicesimo secolo, quando la corruzione era largamente diffusa, fino ai vertici del mondo ecclesiastico, ma la Provvidenza fece sorgere un movimento di cristiani integri e fervorosi che si batté per la riforma dei costumi e la restaurazione della buona dottrina. Uno di questi fu san Pier Damiani (1007-1072), abate del monastero di Fonte Avellana e autore, nel 1049, del Liber Ghomorrianus, un’opera in cui non ebbe timore di alzare il velo sugli scandali ecclesiastici del suo tempo, denunciando con un linguaggio forte e talvolta crudo il vizio contro natura, il “cancro dell’infezione sodomitica” che, scrive san Pier Damiani, infuriava “come una bestia sanguinaria nell’ovile di Cristo”.  Quest’opera è stata ripubblicata  dalle Edizioni Fiducia e ne consiglio la lettura, proprio per la sua attualità.

San Pier Damiani è convinto che di tutti i peccati, il più grave sia la sodomia, termine che comprende tutti gli atti contro natura, che vogliono soddisfare il piacere sessuale distogliendolo dalla procreazione. I colpevoli di sodomia dovrebbero per lui essere inesorabilmente privati in maniera definitiva di uffici, qualifiche e dignità ecclesiastiche. Sarebbe meglio – afferma – che la comunità restasse senza sacerdoti o la diocesi senza vescovi, piuttosto che essere guidati da sodomiti. La sodomia è peggiore della blasfemia perché si oppone allo stesso ordine della Creazione ed è peggiore dell’accoppiamento dell’uomo con gli animali, perché con questa forma di depravazione solo un’anima viene dannata, mentre il sodomita porta alla dannazione anche un’altra persona. “Se questo vizio assolutamente ignominioso e abominevole non sarà immediatamente fermato con un pugno di ferro – scrive – la spada della collera divina calerà su di noi, portando molti alla rovina”.

Quando nel 1057 il Papa Stefano IX nominò Pier Damiani, cardinale vescovo di Ostia, il monaco di Fonte Avellana cosciente dei suoi nuovi doveri di principe della Chiesa, si rivolse con queste parole ai cardinali: “Avete tutti sotto gli occhi la decadenza di un mondo che corre verso la sua rovina, che scivola per una china infernale… La disciplina, genio tutelare dell’ordine ecclesiastico, è sparita; il sacerdozio è profanato e dà scandalo al popolo: le leggi canoniche sono calpestate; il ministero sacerdotale è passato dal servizio di Dio a quello di orrendi piaceri… Dov’è che non si vede rapina, furto, spergiuro, dissipazione, sacrilegio?”.

San Pier Damiani morì a Faenza nella notte tra il 22 e il 23 febbraio 1072. Il suo corpo fu collocato vicino ai gradini dell’altare, ma nel corso dei secoli ebbe diverse traslazioni e oggi riposa nella cattedrale di Faenza, in una cappella a lui dedicata. Fu universalmente venerato come santo sin dal momento della sua morte. Papa Leone XII lo onorò con il titolo di Dottore della Chiesa (Costituzione Providentissimus Deus del 1 ottobre 1828).  

Sono passati quasi mille anni da allora e la Chiesa resta un mistero, perché ha come il suo fondatore Gesù Cristo, una natura divina e una natura umana, intimamente connesse. Ma a differenza di Gesù Cristo, perfetto non solo nella sua divinità, ma anche nella sua umanità, la Chiesa, santa e immacolata, è composta di uomini soggetti al peccato. Essa non è mai peccatrice, ma al suo interno i peccatori si affiancano ai santi. Vi sono momenti della sua storia in cui la santità la pervade ed altri in cui la defezione dei suoi membri la sprofonda nell’oscurità: sembra quasi che la divinità la abbandoni. Ma questo mai accade. La Chiesa non tramonta: supera le prove più difficili e avanza invitta nella storia, verso la Parusia, il trionfo finale, in terra e in cielo, quando Essa si unirà definitivamente al suo sposo divino.

[FONTE: RadioRomaLibera.org]

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