Fino a che punto si può criticare il Papa – questo Papa?

Da Sydney alla Germania, il tema è centrale nella Chiesa sempre più polarizzata, scrive Matteo Matzuzzi, vaticanista de Il Foglio.

“Sconvolto che Anthony Fisher abbia permesso questa diatriba male informata sulla prima pagina del giornale dell’arcidiocesi di Sydney. Fisher vuole chiaramente continuare la campagna Weigel/Pell contro Francesco e il Sinodo. La comunione con Roma è ora facoltativa per i vescovi?”, ha twittato domenica Austen Ivereigh.

I protagonisti, innanzitutto: Anthony Fisher è l’arcivescovo di Sydney, George Weigel è un intellettuale americano conservatore (tendenza neocon) e già biografo di Giovanni Paolo II. Austen Ivereigh è un prestigioso scrittore giornalista inglese, già portavoce del cardinale Cormac Murphy O’Connor e autore di una delle più significative, curate e approfondite biografie di Papa Francesco (in italiano è Tempo di Misericordia: Vita di Jorge Mario Bergoglio, Mondadori, ma il titolo originale The Great Reformer pare più centrato).

L’articolo in questione, quello ripreso dal giornale diocesano australiano, è un bilancio del decennio bergogliano. Un bilancio fortemente critico, con Weigel che passa in rassegna le ambiguità del pontificato e descrive un clima plumbeo dominato da “malinconia” in cui ci sarebbero moltitudini di preti vescovi e cardinali terrorizzati dal rischio di finire sotto la scure papale. L’autore americano mette insieme tutto, dall’affaire Rupnik ai rapporti con Pechino, fino “allo sforzo sistematico per decostruire l’eredità di san Giovanni Paolo II”.

George Weigel si può discutere, naturalmente, le sue sono opinioni di uno studioso di destra, nostalgico della stagione segnata dalle culture war e che non di rado è stato bersaglio di critiche alimentate da circoli liberal gravitanti dentro e attorno alla Chiesa cattolica. Il punto è un altro: si può essere sconvolti perché un vescovo ha ripreso il parere di Weigel sul pontificato? L’autore dell’articolo non è un parvenu né è inseribile nella folkloristica compagnia degli antibergogliani a prescindere, quelli cioè che vorrebbero la detronizzazione del Pontefice perché non indossa il camice con mezzo me_tro di pizzo o perché non benedice gli agnellini il giorno di sant’Agnese. Tantomeno è paragonabile a quegli osservatori che cambiano idea a seconda di dove tira il vento, coloro che prima negavano la liceità dell’elezione di Francesco e ora si presentano oranti alla reception di Casa Santa Marta.

No, Weigel è un conservatore dichiarato, rimpiange i tempi di Giovanni Paolo II e vede con orrore la realpolitik dell’attuale pontificato che gli ricorda la tanto da lui criticata Ostpolitik di Paolo VI. Opinioni, comunque lecite e rispettose, benché discutibili. Tanto è bastato però perché s’alzasse il polverone e che un osservatore equilibrato come Ivereigh arrivasse ad accusare sui social network l’arcivescovo di Sydney di essere il prosecutore di una guerra anti Francesco iniziata da Weigel stesso e dal defunto cardinale George Pell.

Si può criticare il Papa e il suo pontificato? Se lo chiedeva, giorni fa, anche Ross Douthat nella sua newsletter per il New York Times. Douthat prendeva spunto da un saggio del filosofo tradizionalista Thomas Pink apparso sulla rivista cattolica The Lamp, in cui si domandava fino a che punto sia accettabile per i cattolici discutere con il Papa o — se necessario — resistergli.

Si torna al Vaticano I, all’infallibilità, ai commenti dei cardinali John Newman e Henry Manning. Pink insomma si domanda se non sia lecito per un cattolico opporsi in qualche modo al Ponte_fice se, nella sua coscienza, ritiene che il Pontefice stia sbagliando. Il tweet di Ivereigh chiarisce bene il livello di polarizzazione raggiunto dalla e nella Chiesa cattolica. I Papi sono sempre stati criticati — senza tornare all’epoca di Pio IX, quando parecchi vescovi lasciarono Roma pur di non votare sull’infallibilità, è sufficiente citare gli assalti a Paolo VI e Benedetto XVI, seppure per ragioni diverse — ma non si è mai gridato al delitto di lesa maestà. Né si vedevano e denunciavano, un giorno sì e l’altro pure, complotti od operazioni mediatiche volte a danneggiare il pontificato. Con Francesco, però, il clima è mutato. La polarizzazione ha fatto sì che a livello comunicativo (e gerarchico) vi siano due squadre contrapposte, la prima che si potrebbe definire degli entusiasti a prescindere, adoranti e pronti a difendere il Pontefice se necessario fino all’estremo sacrificio (benché non sembri che l’attuale vescovo di Roma ne abbia bisogno), l’altra formata da quanti in sostanza negano la stessa legittimità di Bergoglio a sedere sulla cattedra di Pietro. Punti di incontro, pochi. Terreno di scontro, ampio.

Weigel critica, ma lo fanno anche i vescovi. E la comunione è minata da tempo. Non solo da quanti (e sono la grande maggioranza) negli Stati Uniti — dove scrive Weigel e dove è innanzitutto presente il pubblico cui si rivolge — hanno manifestato in ogni modo una scarsa capacità di sintonizzarsi lungo le coordinate impostate da Francesco, ma anche nell’Europa così vicina alle mura vaticane. Qual è la differenza tra l’arcivescovo di Sydney che autorizza la pubblicazione del testo “incriminato” e il presidente della Conferenza episcopale tedesca mons. Georg Bätzing che rende manifesti i suoi dubbi sul fatto che la Chiesa venga governata a colpi di interviste? O ancora, è peggio un articolo critico sulla rivista diocesana di Sydney o la dichiarazione dei vescovi fiamminghi che definiscono lecita la benedizione delle coppie formate da persone dello stesso sesso quando la congregazione per la Dottrina della fede (ora dicastero), con il placet papale, l’ha definita illecita? Qui la comunione dov’è? Se la parresia episcopale belga-tedesca non viene considerata un problema, allora non può esserlo neppure un commento di George Weigel sul domenicale australiano. Altrimenti significa che, da una parte e dall’altra, è soltanto questione di far valere la propria visione ideologica.

IL FOGLIO (21 marzo 2023)

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