Ratzinger disse che la Chiesa non è “democrazia-sinodale”, ma non l’hanno ascoltato

“Siccome la Chiesa non è così come appare nei sogni, si cerca disperatamente di renderla come la si desidererebbe: un luogo in cui si possano esprimere tutte le libertà, uno spazio dove siano abbattuti i nostri limiti, dove si sperimenti quell’utopia che ci dovrà pur essere da qualche parte.” (Ratzinger 1990)

Da un articolo interessante “NUOVI PARADIGMI Democrazia, da problema a modello, qualcosa non va..” dalla Nuova Bussola…. prendiamo spunto per ricordare le volte in cui l’allora cardinale Ratzinger, ma anche “Benedetto XVI” poi, ha voluto correggere il concetto de LA CHIESA da ogni strumentalizzazione e, persino, da quella utopia esplosa con la nouvelle theologie del gesuita de Lubac il quale riuscì ad affascinare (ed ingannare) anche lo stesso Giovanni Paolo II…. Paolo VI e lo stesso Ratzinger. Entrambi, tuttavia, pur avendo simpatie per le persone, vollero puntualizzare la dottrina sulla vera comunione tra i Vescovi, la Chiesa e quindi il Papa, con il Documento Communionis Notio, vedi qui.

Questo tema è sempre stato ricorrente negli interventi di Ratzinger, e così  proponiamo alcuni passaggi fondamentali per comprendere come, la “chiesa di Bergoglio” abbia piuttosto intrapreso tutt’altra via….

La Chiesa è la Sposa di Cristo, non il suo “partito” (vedi testo integrale)

Parlando ai Corinzi, Paolo parla a noi e mette il dito sulle piaghe della nostra vita ecclesiale di oggi. Come i Corinzi, così anche noi rischiamo di dividere la Chiesa in una disputa di parti, dove ciascuno si fa una sua propria idea di cristianesimo.

Sicché dobbiamo chiedergli: Cosa ce di veramente falso nel nostro comportamento? Che cosa dobbiamo fare per divenire non il partito di Paolo o di Apollo o di Cefa, o un partito di Cristo, bensì Chiesa di Gesù Cristo? Qual è la differenza tra un partito di Cristo e la sua Chiesa vivente? Tra un partito di Cefa e la giusta fedeltà alla pietra su cui è edificata la casa del Signore?

(…) la fede non è la scelta di un programma che mi soddisfi o l’adesione a un club di amici fra i quali mi senta compreso; la fede è conversione, che trasforma me e anche i miei gusti, o almeno fa sì che i miei gusti e desideri passino in seconda linea.

La fede arriva a una profondità totalmente diversa dalla scelta che mi lega a un partito. La sua capacità di cambiamento giunge a tal segno che la Scrittura la chiama una nuova nascita (cfr. 1Pt 1,3.23).

Ci riesce difficile pensare la fede come qualcosa di diverso da una decisione per una cosa che mi piace e per la quale, dunque, vorrei impegnarmi.

Ma in questo modo, siamo sempre e solo noi stessi ad agire. Noi facciamo la Chiesa, noi cerchiamo di migliorarla e di sistemarla come una dimora confortevole. Noi vogliamo proporre programmi e idee che riescano simpatici al più gran numero possibile di persone. Il fatto che Dio stesso sia all’opera, che Egli stesso agisca, nel mondo moderno non costituisce più in alcun modo un presupposto. Ma è proprio così facendo che noi ci comportiamo come i Corinzi: scambiamo la Chiesa per un partito e la fede per un programma di partito. Il cerchio del proprio io rimane chiuso.


0 31”Non è di una chiesa più umana che abbiamo bisogno, bensì di una Chiesa più divina; solo allora essa sarà anche veramente umana“ (vedi qui testo integrale)

Alcuni soffrono perché la Chiesa si è troppo adeguata ai parametri del mondo d’oggi; altri sono infastiditi perché ne resta ancora troppo estranea. Per la maggior parte della gente, la scontentezza nei confronti della Chiesa comincia col fatto che essa è un’istituzione come tante altre, e che come tale limita la mia libertà.

La sete di libertà è la forma in cui oggi si esprimono il desiderio di liberazione e la percezione di non essere liberi, di essere alienati.

L’ira contro la Chiesa o la delusione nei suoi confronti hanno perciò un carattere particolare, poiché silenziosamente ci si attende da essa di più che da altre istituzioni mondane. In essa si dovrebbe realizzare il sogno di un mondo migliore. Quanto meno, si vorrebbe assaporare in essa il gusto della libertà, dell’essere liberati: quell’uscir fuori dalla caverna, di cui parla Gregorio Magno ricollegandosi a Platone.

Tuttavia, dal momento che la Chiesa nel suo aspetto concreto si è talmente allontanata da simili sogni, assumendo anch’essa il sapore di una istituzione e di tutto ciò che è umano, contro di essa sale una collera particolarmente amara.

E questa collera non può venir meno, proprio poiché non si può estinguere quel sogno che ci aveva rivolti con speranza verso di essa. Siccome la Chiesa non è così come appare nei sogni, si cerca disperatamente di renderla come la si desidererebbe: un luogo in cui si possano esprimere tutte le libertà, uno spazio dove siano abbattuti i nostri limiti, dove si sperimenti quell’utopia che ci dovrà pur essere da qualche parte. Come nel campo dell’azione politica si vorrebbe finalmente costruire il mondo migliore, così si pensa, si dovrebbe finalmente (magari come prima tappa sulla via verso di esso) metter su anche la Chiesa migliore: una Chiesa di piena umanità, piena di senso fraterno, di generosa creatività, una dimora di riconciliazione di tutto e per tutti.

Più importante per la nostra questione è però un problema generale. Tutto quello che gli uomini fanno, può anche essere annullato da altri. Tutto ciò che proviene da un gusto umano può non piacere ad altri. Tutto ciò che una maggioranza decide può venire abrogato da un’altra maggioranza.

Una Chiesa che riposi sulle decisioni di una maggioranza diventa una Chiesa puramente umana.  Essa è ridotta al livello di ciò che è plausibile, di quanto è frutto della propria azione e delle proprie intuizioni ed opinioni. L’opinione sostituisce la fede. Ed effettivamente, nelle formule di fede coniate da sé che io conosco, il significato dell’espressione “credo” non va mai al di là del significato “noi pensiamo”. La Chiesa fatta da sé ha alla fine il sapore del “se stessi”, che agli altri “se stessi” non è mai gradito e ben presto rivela la propria piccolezza. Essa si è ritirata nell’ambito dell’empirico, e così si è dissolta anche come ideale sognato.


Senza dimenticare che:

Il Vescovo di Roma siede sulla sua Cattedra per dare testimonianza di Cristo. Così la Cattedra è il simbolo della potestas docendi, quella potestà di insegnamento che è parte essenziale del mandato di legare e di sciogliere conferito dal Signore a Pietro e, dopo di lui, ai Dodici. Nella Chiesa, la Sacra Scrittura, la cui comprensione cresce sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, e il ministero dell’interpretazione autentica, conferito agli apostoli, appartengono l’una all’altro in modo indissolubile. Dove la Sacra Scrittura viene staccata dalla voce vivente della Chiesa, cade in preda alle dispute degli esperti. (…) Il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo. (..) Il Papa è consapevole di essere, nelle sue grandi decisioni, legato alla grande comunità della fede di tutti i tempi, alle interpretazioni vincolanti cresciute lungo il cammino pellegrinante della Chiesa. Così, il suo potere non sta al di sopra, ma è al servizio della Parola di Dio, e su di lui incombe la responsabilità di far sì che questa Parola continui a rimanere presente nella sua grandezza e a risuonare nella sua purezza, così che non venga fatta a pezzi dai continui cambiamenti delle mode…” (Benedetto XVI – Omelia dalla Cattedra 7.5.2005)

 

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