La cecità di fronte la crisi della Chiesa

«Domine, quo vadis?» gli chiese Pietro al quale Cristo rispose: «Vado a Roma a farmi crocifiggere». Una frase che spinse il primo Papa a tornare per affrontare la sorte che lo attendeva, ovvero il martirio.

Appia Antica, 22 ottobre 2017, si stacca il fregio papale dalla chiesa del «Quo vadis»
Una notizia post-datata ma molto significativa, oggi, che così riportava:

“Paura domenica pomeriggio sul sagrato della cappella nel luogo dove all’apostolo Pietro in fuga dalle persecuzioni di Nerone apparve Gesù Cristo. Sopralluogo dei vigili del fuoco e del Vicariato. Nessun ferito (qui la fonte originale). Ad aggravare la situazione potrebbe essere stata la pioggerella caduta in mattinata, anche se non si esclude che qualche danno possa risalire al passato. Ma solo per un caso, nel primo pomeriggio, sul sagrato della chiesetta «Domine Quo Vadis» al bivio fra via Appia Antica e via Ardeatina, non c’erano turisti, altri visitatori e nemmeno religiosi. Un volo di circa otto metri che ha trasformato quel frammento di marmo in una specie di micidiale proiettile che per fortuna si è frantumato sui gradini senza ferire nessuno. Le schegge sono finite in strada. A dare l’allarme sono stati proprio i religiosi della Congregazione di San Michele Arcangelo, che abitano nel convento annesso alla chiesa. Il fregio distrutto è stato comunque recuperato: è in mille pezzi ma forse sarà ricostruito in vista del restauro dello stemma con le tre api, simbolo della famiglia Barberini e adottato da Papa Urbano VIII, Maffeo Barberini, pontefice nato a Firenze, rimasto in carica dal 1623 al 1644.

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Adesso saranno i tecnici inviati dal Vicariato – gli stessi che dopo le numerose scosse di terremoto fra la fine dell’anno scorso e l’inizio del 2017 hanno valutato i danni provocati al patrimonio religioso nella Capitale – a esaminare i reperti caduti e anche altri frammenti di stucco che l’umidità, insieme con le vibrazioni del terreno provocate dal continuo passaggio di veicoli sui sampietrini, potrebbe aver contribuito a staccare. Il sopralluogo di ieri pomeriggio ha riguardato anche l’interno della chiesa dove campeggia anche la lapide che ricorda la visita di Papa Giovanni Paolo II il 22 marzo 1982.
Un luogo fortemente simbolico per i pontefici, tanto più che fu costruito, come raccontato negli Atti di Pietro, dove proprio all’apostolo in fuga dalle persecuzioni di Nerone apparve Gesù. «Domine, quo vadis?» gli chiese Pietro al quale Cristo rispose: «Vado a Roma a farmi crocifiggere». Una frase che spinse il primo Papa a tornare per affrontare la sorte che lo attendeva, ovvero il martirio.”

Con tale quadro assai significativo, vogliamo introdurre un ampio ed interessante commento della FSSPX ad un articolo davvero curioso  – e pure imbarazzante – di Padre Giovanni Cavalcoli, nei riguardi di Bergoglio, papa Francesco. Qui l’originale. Non aggiungeremo nulla di nostro, va da se che condividiamo le correzioni fraterne fatte dalla FSSPX.  Buona riflessione.


La cecità di fronte la crisi della Chiesa: le critiche di padre Cavalcoli

Padre Giovanni Cavalcoli, un domenicano italiano, ha scritto una pagina sul suo blog dal titolo: Non habemus papam, “non abbiamo un Papa”. L’autore specifica di non essere sedevacantista; questo titolo sensazionale vuole attirare l’attenzione. Si presenta come un conservatore e si inserisce nella linea dell’ermeneutica della continuità di Papa Benedetto XVI, di cui è ammiratore.

L’articolo firmato dal domenicano di Ravenna si concentra sulla personalità e sulle azioni di papa Francesco; mostra l’angoscia che causano in lui e in molti buoni cattolici. Cerca di spiegare questo difficile pontificato per la fede dei fedeli presentando diverse ragioni.

L’imprudenza del papa
La prima spiegazione proposta dal religioso è una «imprudenza pastorale» inerente a Papa Francesco, caratterizzata da «riformismo modernista e dialogo mal compreso con il mondo». Questo modo di fare le cose sarebbe la causa di una «situazione ecclesiale caotica» che è diventata ingestibile.

Padre Cavalcoli lamenta che il papa mantenga «contatti amichevoli con tutte le maggiori potenze internazionali ostili alla Chiesa cattolica, senza criticarle: il mondo protestante, il mondo comunista, il mondo ebraico, il mondo islamico, la massoneria». Questa critica è corretta? D’un tratto sembra che il domenicano sia colpito dall’amnesia. Chi andava regolarmente a incontrare i protestanti? Chi è stato il primo papa a entrare ufficialmente in una sinagoga? Chi ha detto ai musulmani che avevamo lo stesso Dio? Non è stato Papa Giovanni Paolo II? Quindi Benedetto XVI sulla sua scia?

Allo stesso modo, padre Cavalcoli si lamenta della confusione introdotta nella Chiesa, per mancanza di insegnamento chiaro, di precise condanne, di sanzioni prese contro coloro che vagano nella fede. Non c’è dubbio, ma questa situazione non è nuova. Non risale a questo pontificato.

Tentativi di spiegazione
Il domenicano prova quindi a comprendere l’«anima» di Francesco. Scopre quattro fattori «che disturbano e rendono la sua azione apostolica, sebbene intensa, controproducente o illusoria».

Prima di tutto, esiste un «fattore morale»: una preoccupazione troppo grande di voler piacere al mondo. Questa accusa di demagogia non è nuova; già il cardinale Bergoglio è stato criticato su questo punto in Argentina. Ma perché rimproverare papa Francesco di voler piacere al mondo, mentre l’apertura al mondo è precisamente il peccato originale del Concilio Vaticano II? Ciò che accade soggettivamente al Papa è una cosa, ma di fatto sta perseguendo oggettivamente un fine essenziale del Concilio. Ridurre questo atteggiamento a una colpa personale del papa regnante è facile, ma è un modo per non guardare in faccia la realtà.

Esiste poi un «fattore culturale», che padre Cavalcoli descrive come una «riluttanza» verso l’attività astratta, che verrebbe sistematicamente sostituita da una retorica di semplice affermazione, slogan, impulso emotivo, ironia o scherzo. Qui abbiamo una descrizione dell’anti-intellettualismo del papa, che probabilmente deriva dall’attuale formazione gesuita. Senza dubbio lo stile del papa in quest’area contrasta con i suoi due immediati predecessori. Ma è anche un segno della nuova teologia, condannata da Pio XII, riabilitata da Giovanni XXIII e che anima ancora il mondo dei teologi contemporanei, con poche eccezioni.

In seguito viene presentato un «fattore psicologico», che in realtà è una «mancanza di equilibrio psichico» (sic!). Due indizi sono dati da padre Cavalcoli. Innanzitutto, c’è un aspetto «bipolare» che caratterizza Papa Francesco (ricordiamo ai nostri lettori che, noi, ne parlammo qui,  ed anche qui, in tempi non sospetti, si direbbe). Senza dubbio non vuole parlare di una patologia medica dichiarata, ma di quella che la psichiatria chiamerebbe un «tratto» di personalità. Poi ci sarebbero, osa il domenicano, il «sospetto (…) di momentanei lapsus mentali» all’origine «frasi che, prese alla lettera, sarebbero materialmente delle eresie o prossime all’eresia».

Ora, dice il domenicano, «un papa non può essere formalmente e intenzionalmente eretico». Quindi, non c’è altra spiegazione che la follia temporanea. L’analisi di padre Cavalcoli è facile qui, ma è anche spericolata e scandalosa a meno che non abbia accesso alle informazioni sulla cartella clinica di Papa Francesco, il che è dubbio.

Inoltre, l’autore ignora chiaramente la storia ecclesiastica. Certamente il papa non può insegnare a tutta la Chiesa un’eresia. Ma Papa Onorio I fu condannato, dopo la sua morte, dal 3 ° Concilio di Costantinopoli nel 361, per aver favorito l’eresia monotelita. E papa Giovanni XXII, uno dei papi di Avignone, fu costretto dal suo confessore, un domenicano, a ritrattare sul suo letto di morte per aver dato un insegnamento vicino all’eresia.

  • La spiegazione di padre Cavalcoli è povera. Così, i sedevacantisti dicono: il Papa non può sbagliarsi, ma dice errori, quindi non è papa. Chi lo segue dice: il papa non può sbagliarsi, quindi gli errori che insegna non lo sono. Il nostro domenicano si rifugia in un terzo vicolo cieco: il Papa attraversa momenti di follia temporanea. È un modo semplicistico per sbarazzarsi della difficoltà che ogni cattolico oggi deve affrontare.

Il quarto fattore esplicativo avanzato da padre Cavalcoli è dello stesso tenore: il Papa lascerebbe a volte il posto a tentazioni diaboliche. Questa affermazione completamente gratuita non merita nessun altro commento.

Ab1yoFLe deviazioni ecclesiali di papa Francesco
Il padre domenicano si lamenta anche dell’accoglienza universale del papa verso tutti, dimenticando di proteggere la propria casa, la Chiesa di cui si occupa. Si lamenta amaramente per questo, spiegando che esiste un tesoro da proteggere e che può essere fatto solo riparandosi dietro i muri. Inoltre, accusa Francesco di aver limitato la Chiesa a mire «economiche, sociali, politiche, populiste, ecologiche, terrene, umanistiche». Lo rimprovera di mescolarsi con il mondo, prendendo e ricevendo da lui. Lo accusa di «convivere con altre religioni», senza voler convertire i loro fedeli.

L’autore avrà trascorso 40 anni in letargo o isolato in un eremo, isolato dal mondo? Eppure fu Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, a spiegare nel 1985 che «il problema degli anni sessanta era acquisire valori meglio espressi da due secoli di cultura liberale». È anche la tesi magistrale di Romano Amerio, nel suo libro Iota Unum, che mostra che dal Vaticano II, gli uomini della Chiesa sono dedicati al «cristianesimo secondario», vale a dire agli elementi del Cultura cristiana, trascurando più o meno il fine soprannaturale, la lotta spirituale della grazia e la necessità della fede divina e cattolica. Infine, l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, entrambi promossi dal Concilio e attuati coscienziosamente da Giovanni Paolo II, hanno fatto dimenticare alla Chiesa che deve essere una missionaria perché è l’unica vera religione.

Le ultime lamentele
Padre Cavalcoli lamenta inoltre che sono quelli che considera «squalificati» – ovvero i tradizionalisti e soprattutto i «Lefevriani» – che sono i più contrari agli eccessi di Papa Francesco. Quindi si interroga sul silenzio di vescovi e cardinali. Li immagina spaventati, temendo la rabbia del papa, di essere degradati, di perdere la berretta cardinalizia o la sede episcopale, persino la disapprovazione dei modernisti o la massoneria che potrebbe tagliare il loro i fondi (?).

Forse sono animati da una o da un’altra di queste paure. E ci sono quelli che agiscono per servilismo; di questi ce ne sono sempre stati nella Chiesa. Ma dobbiamo aprire gli occhi: la stragrande maggioranza dei prelati è d’accordo con il Papa o lo segue beatamente. Il peggioramento della crisi che padre Cavalcoli vede oggi non è altro che il prodotto di una generazione di vescovi “Vaticano II”. È il frutto del Concilio stesso. La ricerca di altre cause, l’avanzamento di fattori o spiegazioni più o meno assurde non portano a nulla. Non tornare alla vera causa, quella della dinamica distruttiva del cattolicesimo attuata dal Vaticano II, è rendersi ciechi all’evidenza, al punto da non riuscire a trovare la soluzione.

Al contrario, e questo è un segno positivo nello sfacelo attuale, diversi cardinali e vescovi presentano analisi e ora accettano ormai delle messe in discussione. Senza andare alla radice, vi si avvicinano al prezzo di un certo coraggio.

Non resta che sperare che la guarigione da questa cecità non tardi, al fine di accelerare l’attuazione di mezzi adeguati affinché la Chiesa possa recuperare la sua tradizione ed eliminare, infine, tutti i germi corruttori introdotti dal Concilio.

 

3 pensieri riguardo “La cecità di fronte la crisi della Chiesa

  1. È giusto ricordare che la crisi non nasce solo negli ultimi 6 anni ed ha radici molto profonde. Ma non è giusto addebitare a Giovanni Paolo II anche delle colpe che non ha. Per Wojtyla il dialogo interreligioso non ha MAI significato l’apostasia dalla verità.

    https://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/speeches/1991/september/documents/hf_jp-ii_spe_19910908_giovani-vicenza.html

    «È vero, lo Spirito Santo opera anche al di fuori del Corpo visibile della Chiesa e di conseguenza è nostro dovere riconoscere i frutti che suscita in seguaci di altre religioni. Questo ci porta al dialogo sincero e rispettoso da cui possono nascere per i cristiani stimoli a purificare sempre più la propria fede e il proprio comportamento morale. Nelle altre religioni si trovano, perciò, germi di verità per mezzo dei quali Dio può entrare in contatto con gli uomini che non hanno avuto modo di incontrare Cristo e il messaggio evangelico (cf. Rm 10, 14-15). Sappiamo, però, che solo Cristo è la Verità piena, solo Cristo è la fonte della salvezza, che egli ha affidato alla sua Chiesa, facendone “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen gentium, 1).

    Consapevole di ciò il cristiano si sente spinto dall’amore a condividere con gli altri la propria gioia di conoscere e di seguire Cristo, per rendere anch’essi partecipi delle ricchezze di verità e di grazia, che a lui sono offerte dalla Chiesa mediante il ministero della parola e dei sacramenti.»

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    1. penso che il problema stia al concilio vaticano 2 che ha segnato una rottura con la tradizione,nel pre concilio le altre religioni erano false invece il concilio ci dice “ci son germi di verità” e nascono i problemi ,bisogna farsene una ragione

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      1. Salve Fabio, il problema dei “Semina Verbi” è un po’ più complesso.

        Che anche fuori del cristianesimo ci siano degli elementi di verità, questo è sempre stato ben chiaro alla Tradizione. San Giustino ha scritto molto sui Semina Verbi. Il problema è questi “frammenti” sono inseriti e mescolati in sistemi di pensiero e culti dove ci sono anche falsità, ed anzi spesso le falsità prevalgono.
        Se per esempio nell’Islam si dice “Dio esiste ed è unico”, questa frase, di per sé, è vera. Il problema è che essa viene predicata assieme, ed in modo inestricabile, ad asserzioni che invece sono false, es. la negazione della razionalità divina.

        Non so se conosci la differenza tra logica booleana e logica fuzzy.
        La logica booleana è binaria: un asserto può essere solo vero o falso, stop. Ciò che è vero al 100%, è vero; ciò che non è vero al 100%, è falso.
        La logica fuzzy (“sfumata”) è polivalente. Un asserto può essere totalmente vero, totalmente falso, parzialmente l’uno e l’altro.

        Per esempio, considera le seguenti equivalenze matematiche:

        0 = 100
        1= 100
        10 = 100
        50 = 100
        99,99 = 100
        100= 100

        In termini di logica booleana, solo l’ultima è vera, le altre sono tutte false.
        Questo è corretto, eppure lascia fuori qualcosa. Il senso comune avverte che esiste anche una gradualità, un più e meno, un avvicinarsi o allontanarsi rispetto alla verità.
        In termini di logica fuzzy, le equivalenze sono decrescentemente false e crescentemente vere, fino all’ultima che è assolutamente vera.

        La due logiche non sono in contraddizione tra loro. Sono modi diversi di descrivere la realtà. Sono linguaggi diversi. Ma il principio di non contraddizione è presente in entrambe. Il reale sotto i linguaggi è il medesimo.

        Il Concilio Vaticano II è stato il tentativo di descrivere il rapporto tra il cristianesimo e le altre religioni, non più in termini di logica booleana, bensì di logica fuzzy. Il cattolicesimo è “vero” perché è “integralmente vero”; tutto il resto è “falso” perché è solo “parzialmente vero”, più o meno a seconda dei casi.

        È stato un tentativo felicemente e concretamente riuscito? Se dobbiamo dare un giudizio onesto, probabilmente no. Sono esplosi una caterva di problemi che prima esistevano solo “sottoterra”. I modernisti hanno ricevuto un dito e si sono presi tutto il braccio; dai “germi di verità” sono passati tranquillamente a dire che tutto è vero. Siamo così arrivati a Spadaro che può dire impunemente che 2+2=5 (il simbolo orwelliano della contraddizione assurta a sistema).

        Tuttavia, la logica è logica, e io non posso, neppure per oppormi al modernismo, abdicare alla logica.

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