Perché il Papa non è Benedetto ma è Francesco

Il nostro editoriale riguardo la legittima elezione di Francesco come Romano Pontefice ha suscitato diverse reazioni. Abbiamo dunque deciso di rispondere ad alcune obiezioni pubblicando un recente articolo di Corrispondenza Romana, firmato da Emanuele Barbieri, in cui ben si spiega perché il Papa non è Benedetto ma è Francesco. Ciò non significa che vada tutto bene, anzi. Proprio perché la situazione nella Chiesa è così drammatica (anche) a causa di questo pontificato abbiamo fondato questo sito, senza mai fare sconti agli errori di Francesco, che aumentano di giorno di giorno. Abbiamo altresì ribadito più volte che questo processo di “autodemolizione” parte da lontano e adesso ci tocca un papa che ne sta raccogliendo i frutti. Per questo, al termine dell’articolo, daremo delle indicazioni per approfondire riguardo l’insegnamento della Chiesa sull’infallibilità del Papa in materia di fede e morale, divina falcoltà che Francesco non usa affatto, poiché invece abusa del primato petrino per imporre il suo progetto di Chiesa.


Ricordiamo quanto segue:
L’espressione “dolce Cristo in terra” è di Santa Caterina da Siena. L’ha usata diverse volte.
Ne citiamo due importanti.
Scrivendo a Papa Gregorio XI gli chiede di usare misericordia nei confronti di coloro che in Siena stavano fomentando discordia.
Scrive la Santa senese: “Vi domando dunque misericordia, padre, per loro. Non guardate alla stoltezza e alla superbia dei vostri figlioli, ma con l’esca dell’amore e della benignità, dando pure quella dolce punizione e benigna riproduzione che piacerà alla santità vostra, rendete la pace a noi miseri figlioli che vi abbiamo offeso.
Io vi dico, dolce Cristo in terra, da parte di Cristo in cielo, che facendo così, cioè senza briga e tempesta, essi ritorneranno a voi con dolore dell’offesa fatta e vi metteranno il capo in grembo. Allora godrete, e noi godremo con voi, perché con l’amore avrete rimessa la pecorella smarrita nell’ovile della santa Chiesa
” (Lettera 196).
In questa lettera si manifesta la preoccupazione di Santa Caterina che il Papa intervenisse in maniera non adeguata, e pertanto non indiscutibile.
In un’altra lettera scritta ad un Nunzio apostolico mette in evidenza addirittura i difetti del Papa.
Scrive: “Il dolce Cristo in terra credo che sarebbe bene che levasse due cose per le quali la Chiesa di Gesù Cristo si guasta.
L’una è la troppa tenerezza e sollecitudine per i parenti, nella quale converrebbe che egli in tutto e per tutto fosse mortificato.
L’altra cosa è la troppa dolcezza fondata in troppa misericordia. Oimé, oimé, questa è la ragione per cui i membri diventano putridi, cioè perché non vengono debitamente corretti
” (Lettera 109).
Ed infine, talvolta, Santa Caterina arriva ad ipotizzare che il Papa possa essere un demonio incarnato. Ma anche in tal caso va obbedito.
Ecco le sue parole: “O Verbo dolce, Figlio di Dio, tu hai riposto il tuo sangue nel corpo della santa Chiesa e vuoi che ci sia amministrato per le mani del tuo vicario.
Perciò è stolto colui che si allontana e agisce contro questo vicario che tiene le chiavi del sangue di Cristo crocifisso.
Anche se fosse un demonio incarnato, io non devo alzare il capo contro di lui, ma sempre umiliarmi chiedendo il sangue per misericordia: perché in altro modo non lo potete avere, né in altro modo potete partecipare il frutto del sangue. Vi prego, dunque, per l’amore di Cristo crocifisso, che non operiate mai più contro il vostro capo

(Lettera 28, a Bernabò Visconti, signore di Milano).

Più chiaro di così, non si può, questa è anche la nostra convinzione. A quanti, poi, insistono (su trame più o meno fantasiose, tecniche, cavillose, ecc..) nel dire: “ma forse non avete capito, Bergoglio non è papa, noi non lo delegittimiamo perchè non lo è mai stato”… ricordiamo che non funziona un tanto al chilo! L’elezione di un Papa, ossia la legittimazione avvenuta, non è arbitrariamente nelle mani di chi interpreta in un modo o in altro i canoni, ma sta in mano ai cardinali elettori che riconoscono valida o invalida l’elezione, punto! Così riguardo alla Rinuncia di un Papa: non sta a noi definirne la validità, ma valutarne le anomalie non per delegittimarla, ma per capire certa situazione che si è venuta a creare.

Con questo articolo auguriamo a tutti i nostri lettori e visitatori, i più fraterni Auguri di Buon Natale di Nostro Signore Gesù Cristo.


Benedetto e Francesco. Chi è il Papa?

di Emanuele Barbieri (14-12-2022)

L’articolo del prof. Roberto de Mattei su Corrispondenza Romana del 20 novembre 2022 ha provocato tra i nostri lettori alcuni quesiti, che possiamo così riassumere:

«Benedetto XVI, annunciando l’11 febbraio 2013 le sue dimissioni, ha dichiarato di rinunziare al ministero del Pontificato, ma non al “munus” petrino. Benedetto inoltre si è auto-definito “Papa emerito”, continua a indossare la veste bianca, che caratterizza lo status di Papa, e impartisce la benedizione apostolica. Ma poiché nella Chiesa cattolica ci può essere un solo Papa, e non due, non avrà ragione chi sostiene che il legittimo Pontefice è ancora Benedetto e non Francesco?»

La questione nasce dall’anomalia della rinuncia al pontificato di Benedetto XVI, su cui più volte Corrispondenza Romana ha espresso la sua opinione. Il canonista gesuita Gianfranco Ghirlanda, già rettore della Pontificia Università Gregoriana, e oggi Commissario dei Francescani dell’Immacolata, il 2 marzo 2013, dieci giorni prima l’elezione di papa Francesco, confutò  la figura ratzingeriana del “Papa emerito” in un lungo e argomentato saggio su La Civiltà Cattolica, spiegando che «colui che cessa dal ministero pontificio non a causa di morte, pur evidentemente rimanendo vescovo, non è più papa, in quanto perde tutta la potestà primaziale, perché essa non gli era venuta dalla consacrazione episcopale, ma direttamente da Cristo tramite l’accettazione della legittima elezione».

Infatti, la dottrina comune della Chiesa ha sempre distinto tra potere di ordine e potere di giurisdizione. Il primo è ricevuto attraverso i sacramenti, il secondo per missione divina, nel caso del Papa, o per missione canonica nel caso dei vescovi e dei sacerdoti. Il Papato non è un “super sacramento”, ma il governo supremo della Chiesa, fondato sul potere di giurisdizione.   

Così disse Benedetto XVI, salutando il collegio cardinalizio, poche ore prima della fine del suo pontificato. Ovviamente tra i presenti vi era anche il card. Bergoglio.

Sul blog di Sandro Magister il 15 settembre 2014, il prof. de Mattei notando che tra i cattolici di orientamento conservatore, alcuni già cominciavano a contrapporre il “Papa emerito” Benedetto XVI al “Papa in esercizio” Francesco, osservava che questa posizione, diversa da quella sedevacantista, era però caratterizzata dalla stessa debolezza teologica. Infatti, «se il papa è, per definizione, colui che governa la Chiesa, rinunciando al governo egli rinuncia al papato. Il papato non è una condizione spirituale, o sacramentale, ma un “ufficio”, ovvero un’istituzione. (….) Il Papa è colui che ha il supremo potere di giurisdizione, la “plenitudo potestatis”, perché governa la Chiesa. È per questo che il successore di Pietro è prima Papa e poi vescovo di Roma. È vescovo di Roma in quanto Papa e non Papa in quanto vescovo di Roma».

Benedetto XVI, quali che siano state le ragioni per dimettersi, lo ha fatto in maniera valida, ma ambigua, creando una profonda confusione tra i fedeli. Il 15 gennaio 2020, Corrispondenza Romana scriveva che Benedetto XVI «conservando il titolo di Papa emerito, come avviene per i vescovi, sembra ritenere che l’ascesa al Pontificato imprima sull’eletto un carattere indelebile analogo a quello sacerdotale. In realtà i gradi sacramentali del sacerdozio sono solo tre: diaconato, presbiterato ed episcopato. Il pontificato appartiene ad un’altra gerarchia della Chiesa, quella di giurisdizione, o di governo, di cui costituisce l’apice. Quando viene eletto, il Papa riceve l’ufficio della suprema giurisdizione, non un sacramento dal carattere indelebile. Il sacerdozio non si perde neanche con la morte, perché sussiste “in aternum”. Si può invece “perdere” il pontificato, non solo con la morte, ma anche in caso di volontaria rinuncia o di manifesta e notoria eresia. Se rinuncia ad essere pontefice, il Papa cessa di essere tale: non ha diritto a indossare la veste bianca né ad impartire la benedizione apostolica. Egli, dal punto di vista canonico, non è neanche più un cardinale, ma torna ad essere un semplice vescovo».

In un suo importante saggio, dal titolo Renuntiatio Papae. Alcune riflessioni storico-canonistiche (in Archivio Giuridico, 3-4, 2016, pp. 655-674), il cardinale Walter Brandmüller ha ribadito che uno e solo uno è il Papa, e inscindibile nella sua unità è il suo potere. «La sostanza del Papato è così chiaramente definita dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione autentica, cosicché nessun Papa può essere autorizzato a ridefinire il suo ufficio».

Se Benedetto XVI ritenesse di essere davvero Papa, simultaneamente a Francesco, negherebbe la verità di fede per cui esiste un solo Vicario di Cristo e dovrebbe essere considerato eretico o sospetto di eresia. Il prof. Enrico Maria Radaelli, che è persona più preparata e conseguenziale di Andrea Cionci, nel suo libro Al cuore di Ratzinger, sostiene che l’abdicazione di papa Benedetto è invalida e nulla, proprio perché è stata elaborata sulle basi di una dottrina eretica, di stampo hegeliano.

Ma a questa tesi il prof. de Mattei già rispondeva il 1° luglio 2020 su Corrispondenza Romana: «Se fosse provato che Benedetto XVI aveva l’intenzione di scindere il pontificato, modificando la costituzione della Chiesa, sarebbe caduto in eresia; e poiché questa concezione eretica del Papato sarebbe certamente anteriore alla sua elezione, l’elezione di Benedetto dovrebbe essere ritenuta invalida per lo stesso motivo per cui si ritiene invalida l’abdicazione. Egli non sarebbe in nessun caso Papa. Ma questi sono discorsi astratti, perché solo Dio giudica le intenzioni, mentre il diritto canonico si limita a valutare il comportamento esterno dei battezzati. Una sentenza celebre del diritto romano, ricordata sia dal cardinale Walter Brandmüller che dal cardinale Raymond Leo Burke, afferma che “De internis non iudicat praetor”; un giudice non giudica le cose interne. D’altra parte il canone 1526, § 1 del nuovo Codice di Diritto Canonico ricorda che “Onus probandi incumbit ei qui asserit” (L’onere di fornire le prove tocca a chi asserisce)».

Inoltre, «se il legittimo Papa è Benedetto XVI, che cosa accadrebbe se egli da un giorno all’altro morisse, o se invece, prima della sua morte, venisse a mancare papa Francesco? Dal momento che molti degli attuali porporati sono stati creati da papa Francesco e nessuno dei cardinali elettori lo considera un antipapa, la successione apostolica sarebbe interrotta, pregiudicando la visibilità della Chiesa. Il paradosso è che per provare l’invalidità della rinuncia di Benedetto si utilizzano sofismi giuridici, ma poi per risolvere il problema della successione di Benedetto o di Francesco, si dovrebbe ricorrere a soluzioni extra-canoniche. La tesi del visionario francescano Jean de Roquetaillade (Giovanni di Rupescissa, 1310-1365), secondo cui, nell’imminenza della fine dei tempi, apparirebbe un “Papa angelico” alla testa di una Chiesa invisibile, è un mito diffuso da molti pseudo-profeti, ma mai accolto dalla Chiesa. È questa la strada che imboccherebbe una parte del mondo conservatore? Sembra più logico ritenere che i cardinali riuniti in conclave per eleggere un nuovo Papa, dopo la morte o la rinunzia al pontificato di papa Francesco, sarebbero assistiti dallo Spirito Santo. E, se è vero che i cardinali potrebbero rifiutare l’influsso divino, eleggendo un Pontefice peggiore di papa Francesco, è anche vero che la Provvidenza potrebbe riservare sorprese».

Il papa è Francesco. Anche Benedetto, può piacere o non piacere, lo ha confermato.

In conclusione: l’essenza del Papato non è nel munus, come nei vescovi, ma è nell’esercizio del governo, ovvero nel ministerium, che non è un sacramento indelebile, ma un potere di giurisdizione, che si può perdere o a cui si può rinunciare. Il Papato non è una condizione spirituale o sacramentale, ma un “ufficio”, o più precisamente un’istituzione. Chi rinuncia al ministerium, cioè al governo, perde il Papato. E questo era ben chiaro a Benedetto XVI, che nella sua Declaratio del 13 febbraio 2013 afferma con chiarezza: «[Declaro] Conclave ad eligendum novum Summum Pontificem (…) convocandum esse» (“dichiaro che va convocato un conclave per eleggere un nuovo Sommo Pontefice”).

Benedetto XVI non ha inteso conservare per sé la condizione papale, affidando il governo a un facente funzione, ma ha formalmente aperto la sede vacante (e non impedita), ordinando l’elezione di un nuovo Papa. Questo Papa è stato eletto con il nome di Francesco ed è stato riconosciuto come tale dalla Chiesa universale. Potrà piacere o no, ma è il legittimo Papa.

Se Benedetto XVI continua ad atteggiarsi a Pontefice, vestendo di bianco e impartendo la benedizione apostolica, commette un errore, creando confusione tra i fedeli, ma non rivendica certo una legittimità pontificia alla quale ha rinunciato il 13 febbraio 2013. Nessuna sua parola o gesto apparentemente contrario è stato finora più forte di quella solenne Declaratio con cui ha concluso il suo pontificato.  Chi sostiene il contrario è mosso da sentimenti o risentimenti personali di varia natura, ma non è sorretto da ragioni teologiche o canoniche, le sole che contano, nelle epoche di crisi come l’attuale.

(Corrispondenza Romana)


Ricorda che

Quando il Papa è infallibile?
Il Papa è infallibile allora soltanto che nella sua qualità di Pastore e Maestro di tutti i cristiani, in virtù della suprema sua apostolica autorità, defenisce una dottrina intorno alla fede o ai costumi da tenersi da tutta la Chiesa (Catechismo di San Pio X, n. 199)

Per approfondire

Pastor Aeternus: la dottrina sulla vera infallibilità del Pontefice

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