Riprendiamo le nostre pubblicazioni sottoponendo all’attenzione dei nostri lettori un interessante editoriale del vaticanista Andrea Gagliarducci in una nostra traduzione. L’articolo prende in esame l’incontro che papa Francesco ha avuto con i confratelli gesuiti del Canada e la conferenza stampa di ritorno dal viaggio apostolico.
Ricordiamo, seppur brevemente, che – il pragmatismo – è quella “corrente filosofica (di stampo protestantico) sorta negli Stati Uniti nella seconda metà del sec. XIX e fondata sulla connessione fra conoscenza e azione; insiste sulla funzione del pensiero come produttore di credenze da sottoporre al vaglio dell’esperienza e della prassi ( p. metodologico ) o sull’utilità sociale e religiosa dei nostri sistemi di credenze ( p. metafisico ); atteggiamento improntato a una visione realistica e pratica, finalizzato a ottenere, talvolta anche in modo spregiudicato, risultati concreti. Che riguarda prevalentemente l’attività pratica, l’azione; caratterizzato dal prevalere degli interessi pratici su quelli teoretici e sui valori ideali: avere un atteggiamento pragmatico e realistico; avere una visione pragmatica della vita. Nell’amore pragmatico, sia lui che lei cercano una persona che per loro vada bene e soddisfi i loro bisogni. Il più importante esponente del pragmatismo, è John Dewey secondo il quale l’esperienza comprende anche i fattori di errore, esclusi invece nelle teorie empiriste classiche. Dewey chiama la sua particolare versione del pragmatismo “strumentalismo”.
Ricordiamo che Dewey nasce e si forma in campo protestante ricevendo una formazione di tipo neohegeliano laureandosi, nel 1884, con una tesi sulla psicologia in Kant, diventando poi un famoso pedagogista, filoso e di “pensatore sociale”, diffondendo in tutto il mondo il nuovo pensiero “laico”. Si interessò anche del nuovo sistema scolastico ispirato ai principi della pedagogia marxista, che lo convinsero della necessaria riforma scolastica-sociale nella democrazia americana.”
Perché questa premessa? Perché il “nostro” Modernista per eccellenza, Ernesto Buonaiuti – leggi qui se non sai chi è stato – fu uno degli intellettuali di maggior rilievo nella scena culturale ed ecclesiale del primo Novecento in Italia. E’ annoverato tra i fondatori del Modernismo cattolico e in quegli anni di crisi, il Buonaiuti, abbandona le posizioni della filosofia neo-tomista per sposare il pragmatismo, con una svolta prima teoretica, per poi riservarsi aggiustamenti e correzioni atti a far combaciare le sue ricerche moderniste per una nuova visione del Cristianesimo attraverso la prassi.
Se la Chiesa non conosce se stessa
di Andrea Gagliarducci (08-08-2022)
Le conversazioni di papa Francesco con i gesuiti hanno il privilegio di essere conversazioni libere, senza filtri, da cui spesso esce il modo di pensare autentico di papa Francesco. Il colloquio con i Gesuiti del Canada, pubblicato, come di consueto, su La Civiltà Cattolica, non ha fatto eccezione.
Non ci sono rivelazioni sorprendenti nella conversazione. C’è, però, il senso del modo di pensare di papa Francesco, che non può non farci riflettere se letto alla luce delle dichiarazioni che il Papa ha fatto in conferenza stampa sul volo di ritorno dal Canada.
Parlando con i gesuiti, il Papa ha parlato dell’evoluzione del diritto canonico in materia di abusi e ha detto: «Il diritto accompagna la vita e la vita va avanti. Come la morale: si va perfezionando. Prima la schiavitù era lecita ora non più. La Chiesa oggi ha detto che anche il possesso dell’arma atomica è immorale, non solo l’uso. Prima non si diceva questo. La vita morale va progredendo nella stessa linea organica».
Nelle parole del Papa possiamo vedere una riduzione particolarmente pragmatica delle questioni della vita. Ma il punto è diverso. La “riduzione pratica” porta anche a conoscere e a comprendere pragmaticamente la Chiesa. Il principio, del resto, è che “la realtà più grande dell’idea”, come diceva il Papa nell’Evangelii gaudium.
Tuttavia, se così fosse stato, la prospettiva cristiana non avrebbe potuto diffondersi così ampiamente. La questione della schiavitù, proprio in questo, è esemplare.
Il Papa non si riferiva all’accettazione della schiavitù da parte della Chiesa. Tuttavia, l’arcivescovo Victor Fernandez, suo teologo di riferimento, lo ha fatto durante una conferenza stampa del Sinodo dei Vescovi del 2014.
Ma è proprio sulla schiavitù che si deve operare una profonda distinzione tra la Chiesa e il mondo. La Chiesa non ha mai accettato che gli uomini fossero ridotti in schiavitù. Inizialmente la Chiesa ha tollerato la schiavitù come istituzione umana, ma ciò non significa che non fosse contraria.
Gesù non ha mai detto di sovvertire l’ordine del mondo, bensì di cambiare il cuore delle persone, di modificare la concezione dell’uomo, per creare una nuova civiltà.
Il Cristianesimo ha sempre considerato come esseri umani gli schiavi. Nel VI secolo, San Gregorio di Nissa denunciò la schiavitù come contraria alla Legge di Dio. Sant’Ambrogio suggerì di liberare gli schiavi. San Giovanni Crisostomo ha esortato i maestri a insegnare agli schiavi a lavorare in modo che potessero mantenersi. Infine, sant’Agostino si oppose fermamente alla schiavitù.
I pontefici Pio I e Callisto I furono schiavi. Nel VII secolo fu canonizzata la schiava britannica Bathilde. Per non parlare dei vari concili che si erano espressi contro la schiavitù — o che proteggevano gli schiavi profughi –, che chiedevano la libertà degli schiavi e discutevano persino sulla tratta degli schiavi.
Se poi vogliamo sottolineare che diversi cristiani, sacerdoti e vescovi, non hanno seguito il messaggio cristiano, questo è vero. Ma fu l’eccezione cristiana che portò all’abolizione della schiavitù in Europa, e ciò è dimostrato da decine di dichiarazioni dei papi, a cominciare dalla bolla Pastorale Officium del 1537, scritta da Paolo III, che condannava la schiavitù sotto pena di scomunica.
La bolla seguì un decreto di Carlo I, che condannava la schiavitù degli indiani. E qui bisogna allargare il campo della storia per capire come i sovrani cattolici di Spagna, in realtà, non abbiano mai favorito la schiavitù.
Angela Pellicciari, in due volumi (Una storia della Chiesa e Una storia unica. Da Saragozza a Guadalupe), riporta come i sovrani cattolici di Spagna non abbiano mai interpretato la colonizzazione dell’America come appropriazione della terra, ma piuttosto come una forma di evangelizzazione. La regina Isabella proibì di fare schiavi nel nuovo mondo, e quando Colombo tornò una volta con gli schiavi, furono rimandati in America con molte scuse e Colombo fu messo in prigione.
Invece, il successo spagnolo in America Latina, sostiene la storica, deriva proprio dal fatto che fu portata l’idea di un Dio che si prende cura di ogni uomo, facendo crollare così il potente impero azteco, fondato sul terrore, che fece strage di uomini e bambini.
La cosiddetta “Dottrina della Scoperta” nasce anche da questo contesto, da questo ideale di evangelizzazione, già definito nel 1455, prima della scoperta dell’America, con la bolla Romanus Pontifex. Ma questa non fu mai una dottrina della Chiesa. Era una visione del mondo che riguardava quei tempi. Le altre attività dei Pontefici l’hanno superata. È stato oscurato dalla storia.
Papa Francesco, però, non lo ha detto. Invece, nella conferenza stampa sul volo di ritorno dal Canada, ha risposto vagamente, tanto che la stampa è arrivata al punto di dire che il Papa non aveva spiegato adeguatamente tutte le questioni. Eppure, sarebbe bastato contestualizzare, spiegare.
Il Papa ha infine affermato di non aver parlato di “genocidio” dei nativi americani in Canada perché non ci ha pensato. Ma anche questo è un problema: genocidio significa eliminazione sistematica di un popolo, e l’assimilazione culturale a cui erano soggetti gli indigeni, per quanto brutale o violenta, è un’altra cosa.
Il problema qui è che un mondo laicista vuole riscrivere la storia della Chiesa, negando ciò che era una volta. E c’è, purtroppo, una Chiesa che non si conosce, non sa difendersi, né spiegare cos’è, cos’è stata, e la sua storia.
Ovunque i missionari siano andati hanno imparato — e preservato — le lingue indigene, proteggendo la loro cultura dall’assimilazione. Lo hanno fatto in mezzo a grandi discussioni all’interno della Chiesa, a volte con fatali indecisioni da parte dei Pontefici, ma sempre con un obiettivo chiaro in mente.
Se tutto si riduce a una lettura pragmatica e non teologica — se non si applica l’ermeneutica del tempo, e non si cerca di spiegare cosa muove la Chiesa — allora non la si può capire, la Chiesa.
Per la Chiesa non si tratta di rimanere sulla difensiva, bensì presentare se stessa cioè che essa è. E lo stesso vale per il Papa, che – ha detto ai gesuiti del Canada – parla sempre a nome della Chiesa. È difficile, però, pensare che la Chiesa apprezzi di essere ridotta al gesto delle scuse di un Papa, nonché attaccata perché, in quanto Istituzione non fa il mea culpa, mentre lo fa il Papa.
È tempo che i cattolici vadano oltre le pressioni dell’opinione pubblica — e le parziali ricostruzioni storiche. È tempo che i cattolici conoscano la Chiesa, soprattutto in quest’epoca di cancel culture. Un’epoca, tra l’altro, a cui il Papa ha chiaramente puntato il dito in uno dei suoi discorsi canadesi.
(Fonte: Monday Vatican)