“Ma come celebrano? Io non vado a Messa lì, ma ho visto delle fotografie. Parlo chiaro. Ma carissimi, ancora i merletti, le bonete [berrette]…, ma dove siamo? Sessant’anni dopo il Concilio! Un po’ di aggiornamento anche nell’arte liturgica, nella “moda” liturgica! Sì, a volte portare qualche merletto della nonna va, ma a volte. È per fare un omaggio alla nonna, no? Avete capito tutto, no?, avete capito. È bello fare omaggio alla nonna, ma è meglio celebrare la madre, la santa madre Chiesa, e come la madre Chiesa vuole essere celebrata.”
(Papa Francesco ai Vescovi e al Clero in Sicilia 9.6.2022 e le foto nella cover non sono un fotomontaggio)
Stanno suscitando scandalo e scalpore le parole – o la battuta – di Papa Francesco ai Vescovi e al Clero della Sicilia, ricevuti in visita il 9 giugno scorso, vedi qui il testo ufficiale.
La prima Nota, utile per noi, è stata che – il Papa – avendo deciso dal 2014 di recidere sulla pubblicazione dei testi per gli incontri con i Vescovi in visita Ad Limina Apostolorum, questa volta non lo ha fatto al contrario, ha voluto che venisse tutto reso pubblico… il ché significa che voleva che tutti e tutta la Chiesa sapesse come la pensa su certe “vesti liturgiche” che hanno a che fare principalmente, questo è evidente, con il rito antico – vedi qui e vedi qui – ma che l’uso di una veste liturgica “cattolica”, che porti in sé il seppur minimo ricordo di un rito “del passato”, tutto venga dimenticato.
Prima di parlare della “battuta” sui merletti, vorremo segnalare una seconda Nota. Pochi si sono accorti di un’altra frase dello stesso discorso del Papa, ed è una affermazione – a nostro parere – molto grave… Ringraziamo la pagina FB Lo Spigolatore Romano, per averlo sottolineato con queste parole:
“Quasi due anni fa dedicammo un articolo alla questione dei pizzi nella biancheria sacra. Spiegammo che, in certi casi, erano solo tollerati, che il pizzo comunque costituisce un abbellimento degli orli, ma non sostituisce la stoffa, che resta obbligatoria. E ricordammo, sia come la tradizione antica non preveda pizzi e sia che questi sono di “recente” introduzione. Citammo decreti dove si richiede che il trasparente messovi sotto debba esser del colore della talare e mai diverso, etc.etc. Spiegammo pure che un bel camice dall’amplissimo panneggio realizzato in mussola di puro lino sia infinitamente più bello di un camice con due metri di pizzo, anche se in Cantù. Perché è più tradizionale, e pure più virile, non avere pizzi che averli.
Oggi ne parla il papa ma non cita tradizioni e non richiama ad esse, perché forse neppure le conosce. Si richiama solo al concilio, il quale però non ha mai parlato di trine e merletti! Perché poi un camice in gigliuccio color topo e magari pure in terital (cioè in plastica) debba esser più idoneo alla liturgia di uno con un pò di Cantù il papa non lo spiega, forse perché non lo sa neppure spiegare.
Il papa può spiegare, con argomenti incontrovertibili, perché la sua sciatteria liturgica debba andare meglio di un pizzo?
Una chiosa la vogliamo fare pure su questa frase papale “è meglio celebrare la madre, la santa madre Chiesa, e come la madre Chiesa vuole essere celebrata” .
Santità, ci potete spiegare, se ci riuscite, da quando in qua la liturgia è fatta per celebrare la Chiesa? Potete citare a sostegno di questa vostra affermazione anche un solo testo non diciamo biblico, ma almeno patristico? La liturgia è cosa seria. Non è roba per modernisti. La base dunque del ragionamento papale, ammesso che abbia una base, è l’ideologia e l’aderenza ad essa. La base del nostro ragionamento è la tradizione e la conformità ad essa.”
(d.F.)
Riteniamo che a questi commenti e, soprattutto, a queste domande legittime e preoccupate di tale deriva teologica, ci sia poco da aggiungere poiché, come ricorda anche il Catechismo: la Chiesa celebra il Culto per la Gloria di Dio e non certo per un fine a se stessa. La Messa è infatti il Sacrificio (incruento) perfetto di Gesù Cristo di propiziazione, soddisfazione al Padre, impetrazione-adorazione e ringraziamento, celebrare significa attuare l’opera salvifica di Dio, “il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati”. La Chiesa è perciò CUSTODE del Culto che ha ricevuto dalla Tradizione.
A tale proposito e tornando alla battuta sui pizzi e merletti, leggiamo le riflessioni espresse da mons. Nicola Bux, dalle quali abbiamo tratto il titolo a questa “cronicas…” e ricordiamo che, Don Bux, fu chiamato da Benedetto XVI a cooperare proprio nell’ambito liturgico:
“I merletti della nonna e l’ignoranza teologica ed ecumenica”
(Don Nicola Bux da Il Pensiero Cattolico)
“Le vesti sacre si configurarono in Oriente e Occidente tra il V e il XII secolo. La Chiesa comprese che per il Servizio divino non si potevano usare quelle da lavoro o militari, perché il sacerdote è un ministro che svolge la funzione di mediatore tra il divino e l’umano, continuando l’opera di Gesù Cristo.
Lo splendore dei paramenti è a gloria e onore del Signore e non del sacerdote che li riveste, lo insegnano gli Orientali.
Irridendo i merletti, si dimostra una doppia ignoranza: teologica ed ecumenica. Inoltre si espone ancora una volta al disprezzo e al ridicolo il ministero petrino. Anche attraverso il corpo, il sacerdote deve trasmettere una cosa: è stato reso degno di stare alla presenza del Signore. Quando siamo davanti ad altri più importanti di noi, non badiamo a come presentarci? Non lo faremo per il Servizio di Dio? Le vesti speciali che il sacerdote indossa significano che egli è una nuova creatura, è chiamato a compiere un’azione sublime e divina, che esige l’insieme di virtù simboleggiate dai singoli paramenti da indossare magari con brevi formule di preghiera, presenti nel Messale romano del 1962. Lo fanno anche gli Ortodossi. La sacra liturgia non è fatta di simboli? Allora, anche i merletti sono un simbolo.”
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Vogliamo concludere queste considerazioni, per ora, con un intervento eccellente anche del professor Corrado Gnerre:
A proposito di merletti nella liturgia, cosa diceva Dio ai sacerdoti del Tempio? – vedi qui testo originale –
Sta avendo molta eco il discorso che papa Francesco ha fatto recentemente al clero siciliano. Un discorso dove ha stigmatizzato un certo attaccamento alla forma nella celebrazione eucaristica. Il Papa ha parlato esplicitamente di “merletti della nonna”.
Ovviamente mi preme fare una premessa che potrei anche non fare, perché si tratta solo di una premessa di buon senso, ma in questi tempi è sempre bene precisare -anche usque ad nauseam- per non essere equivocato.
La premessa riguarda il giusto rapporto che deve esserci tra forma e sostanza. E’ evidente che la forma, svolgendo una funzione espressiva (cioè significativa) della sostanza, non può né fagocitare né tantomeno sostituire la sostanza stessa. Altrimenti si cadrebbe in quel che viene definito “formalismo”, che è una palese ipocrisia.
Ma se è vero questo, è pur vero che non si può concepire la sostanza senza la forma, perché questa è indispensabile per la comprensione dell’uomo. Di esempi se ne potrebbero fare tanti. Basterebbe pensare a Gesù che per i sacramenti ha voluto che ci fosse una materia per significare una realtà (la grazia) di per sé non visibile. Nel Battesimo ordinario non è certamente l’acqua ciò che toglie il peccato, ma senza l’acqua non è possibile significare la realtà invisibile della grazia. Ogni sacramento è infatti segno efficace della grazia.
Ma non solo questo. Va anche detto che la forma deve essere sempre proporzionata alla sostanza a cui è legata. Come può esserci un problema di eccesso, può esserci anche un problema di difetto. Più la sostanza è alta e più la forma deve essere altrettanto alta.
Veniamo adesso alla questione della celebrazione della Messa. Certamente queste cose non le dico al Papa (sarebbe ridicolo), mi permetto solo di ricordarlo a chi legge il C3S. La Messa è il più grande atto di culto che possa esserci, perché in essa ad offrirsi a Dio è Dio stesso nella persona del Figlio. Ogni Messa è la riattualizzazione vera, anche se incruenta, del Sacrificio del Calvario. Dunque, ogni Messa ha un valore infinito ed in un certo qual modo è il centro della realtà (l’universo intero) e della Storia, perché la Redenzione, operata da Cristo sul Calvario, ha salvato l’universo intero e tutta la Storia.
Banalizzare, credere che questo mistero umanamente inimmaginabile possa essere significato anche con un minimalismo ed un essenzialismo pauperistico sarebbe contro la sostanza della Messa in sé. Sarebbe sproporzionato.
Certamente la forma non può essere una conditio sine qua non, per cui se non c’è una forma massimamente degna non si possa e non si debba celebrare la Messa. Possono esserci tante situazioni in cui la Messa vada celebrata indipendentemente dalla forma, sempre però utilizzando un rituale e un canone autenticamente -e non ambiguamente- cattolici. Ma ciò è ben altra cosa dal far capire che nella Messa debba necessariamente esserci una forma minimalista e pauperista.
Dovremmo piuttosto tener presente che nessuna eleganza formale può essere adeguatamente rispondente all’altezza incommensurabile del Mistero di ogni Messa. Quindi c’è sempre un difetto, mai un eccesso.
Si badi che gli stessi apostoli dell’autentica povertà (che non è il pauperismo) hanno parlato e agito con chiarezza. San Francesco, che pretendeva la massima povertà per i suoi frati, desiderava che per la liturgia vi fosse anche sfarzo. Lessi tempo fa che arrivava perfino dire che le chiese dovevano essere broccate di oro e di argento, e che voleva che i paramenti dei sacerdoti fossero rifiniti anche con l’oro. Si pensi a quelli che al tempo cucivano le clarisse. Insomma, la povertà per l’uomo, ma non per Dio.
San Francesco, sempre lui, si addolorava quando vedeva una chiesa trasandata e sporca. Si racconta che quando capitava in qualche chiesa trasandata, si facesse dare una scopa per ramazzarla di persona.
Queste cose erano già presenti nell’Antico Testamento dove si esigeva una cura precisa della forma per il sacrificio celebrato al Tempio. Riporto ciò che scrive il cardinale Giovanni Bona in Mistero d’Amore. Meditazione sul cult eucaristico: “Dio, nell’Antico Testamento, minacciava di morte il sommo sacerdote che avesse osato entrare nel ‘Sancta Sanctorum’ (…), senza indossare i paramenti sacri, ornati di pietre preziose e di oro rifulgente, e senza il rivestimeno delle virtù. E, allora, a quale pena non andrà incontro il sacerdote della Nuova Alleanza che si avvicini a ciò che non è un’arca simbolica, ma Dio stesso, per immolare, toccare e mangiare Gesù, Figlio suo e Signore nostro, se non lo fa con la venerazione e l’attenzione che merita un tale convito?”
Dunque, offrire la bellezza a Dio è un dovere. Perché? Perché Dio è Bellezza. E’ logica, nient’altro che logica.
Ma è un dovere che è anche un proficuo apostolato. Mi viene in mente la conversione di san Nicolò Stenone (1638-1686), scienziato ed ex-protestante danese. A Livorno, lo commosse la processione del Corpus Domini, dove al vedere portare in processione con tanta solennità l’Ostia santa, pensò: “O quell’Ostia è un semplice pezzo di pane, e pazzi sono coloro che le fanno tanti ossequi; o qui c’è davvero il Corpo di Cristo, e allora perché non l’onoro anch’io?’” Cosa sarebbe accaduto se san Nicolò Stenone fosse vissuto oggi e avesse visto come -oggi- si “onora” l’Eucaristia?
Concludendo, rammarica dover constatare quanto nella Chiesa attuale sia sempre più evidente la mancanza di senso storico. Chesterton giustamente dice che per andare troppo di fretta, si finisce sempre con l’arrivare in ritardo. E’ proprio così. La Chiesa negli ultimi tempi si è fatta prendere dalla paranoia d’inseguire la Storia, di storicizzare tutto, di diventare una sorta di cortigiana del Tempo e del Mondo… e poi? E poi paradossalmente mostra di aver perso il più elementare realismo storico. Oggi come oggi, il problema sono davvero le liturgie con merletti, incenso e silenzi, oppure le tante banalizzazioni, profanazioni e ridicolaggini, a causa delle quali nessuno più sa cosa sia davvero la Messa?
Sant’Ignazio di Loyola, fondatore dei Gesuiti, nel discernimento degli spiriti all’interno dei suoi Esercizi, dice che per resistere contro le tentazioni del demonio bisogna prima di tutto rafforzare i propri punti deboli e su questi passare al contrattacco, cioè agere contra. Esempio: se con l’auto devo affrontare una ripidissima discesa, sono costretto a lavorare con il pedale del freno. Sarei come minimo imprudente se invece di frenare, accelerassi.
Mi fermo qui. Penso abbiate capito.
Ricordiamo che non esistono solo le “vesti” liturgiche ma esiste anche una cultura per: L’ARREDO DELL’ALTARE… per chi fosse interessato, legga qui.
Una breve Galleria dove non posteremo le bruttezze, brutture riscontrabili nelle messe moderne di oggi… piuttosto vogliamo offrirvi la Bellezza, prima che altri ve la facciano dimenticare….
















A quanti stanno commentando parlando di una “giusta sobrietà” da parte della critica di Papa Francesco e di quanto sarebbe giusto che su questi argomenti non è questione dottrinale e che si può discutere, aggiornare, vogliamo dare una risposta chiara per tutti.
Ci sono argomenti cattolici sui quali il contraddittorio non esiste, semmai si impara ciò che magari non si conosce. Su questi temi in cui svilito è il Cristo medesimo, bisogna comprendere bene che non c’è nulla da disquisire e non ci si deve discutere per dimostrare chi ha ragione, è la Tradizione che ha ragione.
Ora, il punto dolente è questo modo errato di intendere la sobrietà delle Vesti Liturgiche ed è certo che il problema non sta nel merletto o nel pizzo, ma è lo svilimento della Veste. Ogni capo liturgico riporta ad un aspetto della vita di Nostro Signore Gesù Cristo, dall’amitto al cingolo, al camice, alla stola, alla casula e la battuta del Papa, infatti, che non potrebbe mai negare questo, di conseguenza finisce per banalizzarlo.
San Francesco d’Assisi, che non osò neppure diventare sacerdote avendo compreso l’alto compito e che voleva la povertà per i frati, ammoniva che questa cessava davanti all’Altare e che gli arredi dell’Altare, con gli oggetti sacri e le vesti liturgiche, tutto doveva brillare e parla di sfarzo.
Il Culto Cattolico è la celebrazione non solo della morte per la quale vediamo infatti il lutto e la spoliazione delle Vesti liturgiche e degli arredi sacri tra il Venerdì e il Sabato Santo; ma anche della risurrezione del Cristo per la quale tornano a suonare le campane a festa, le luci si accendono, si benedice l’acqua e il fuoco, gli Altari tornano ad essere “vestiti” con le tovaglie più candide e preziose, le vesti liturgiche sono dorate, bianche, brillano per ricordare che la Luce è il Cristo Risorto.
Purtroppo deve essere ricordato che, il primo Pontefice a svilire le Vesti Liturgiche è stato Paolo VI quando cominciò, con il rito moderno, a mettere da parte la Sacrestia Pontificia facendo acquistare – con ingenti spese economiche – i nuovi abiti liturgici per il Pontefice, “sobri” (si fa per dire), attraverso casule insipienti e certamente “semplici” ma di fatto non più capaci di dare al fedele quella dimensione del sacro che ci si deve attende da un “Sacerdote”.
Proseguì lo stesso Giovanni Paolo II a questo svilimento alternando, specialmente nelle celebrazioni in trasferta, un vestiario semplice per la praticità della celebrazione. Si possono discutere, infatti, le vesti liturgiche usate durante le GmG e quanti soldi sprecati per davvero!!
Benedetto XVI riportò il decoro delle Vesti liturgiche in uso al Pontefice… La Messa stessa celebrata dal Papa tornò a brillare di quella sacralità che si era andata perdendo con il Pontificato precedente, fino a riportare l’inginocchiatoio per i fedeli che accedevano alla santa Comunione.
Papa Francesco non sta facendo altro che procedere su quello “spirito” avviato da Paolo VI in tema di cambiamenti e aggiornamenti, cominciando appunto con la Messa “nuova” ossia, il Messale nuovo attraverso il quale si giunse a semplificare l’uso delle vesti liturgiche.
Perdonandoci questa breve catechesi, auspichiamo che possiate comprendere perchè si devono difendere quei punti saldi della Tradizione perché, come avrete compreso (se avrete letto l’articolo integralmente), è legata la dottrina, non l’opinione personale.
Fraterni saluti, Athanasius
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