Tra Mosca e Kyiv, il Papa ha smarrito la strada?

La crisi russo-ucraina non è recente, anzi, le sue radici sono secolari, esplodendo in modo particolare non negli ultimi due anni, ma da circa un decennio. Infatti, i vescovi dell’Ucraina, in visita ad alimana apostolurum nel 2015, ne parlarono con papa Francesco, il quale promise loro le sue constanti preghiere, ma alla fine, nulla di più. Intendiamoci, la preghiera è tutto, ma non può essere usata come strumento diplomatico per rasserenare i propri interlocutori. Come sappiamo, il papa regnante ha ripristinato l’Ostpolitik, ovvero cercare il compromesso, sempre e comunque, con tutte le controparti politiche e religiose. Francesco, inoltre, non ha mai nascosto la sua speranza di essere il primo papa a visitare la Russia — e la Cina –, quindi si è sempre dimostrato molto accomodante con il patriarca ortodosso di Mosca, Kirill, il quale, invece, è sempre rimasto molto distante verso di lui per vari motivi. A questo proposito suggeriamo ai nostri lettori un ottimo articolo del vaticanista Sandro Magister, in cui ben si dimostra il fallimento dell’Ostpolitik di papa Francesco proponendovi, però, lo stesso titolo ma con un punto di domanda… per agganciarci anche all’intervista fatta da La Verità a mons. Nicola Bux.


di Sandro Magister (03-03-2022)

È difficile trovare una guerra in cui la distinzione tra aggressore e aggredito sia così netta come nell’attuale conflitto in Ucraina. Eppure è proprio questa distinzione che risulta assente nelle parole e negli atti di papa Francesco. La sua visita all’ambasciatore di Russia presso la Santa Sede, venerdì 25 febbraio, ne è stato l’esempio lampante. “Durante la visita il papa ha voluto manifestare la sua preoccupazione per la guerra in Ucraina”, ha titolato in prima pagina “L’Osservatore Romano”. Non una riga in più, nessun articolo a seguire. Perché era solo quello e nient’altro ciò che il papa voleva si sapesse del suo contatto con la Russia di Vladimir Putin e del patriarca di Mosca Kirill.

Certo, Francesco ha anche parlato per telefono con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e con l’arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica Sviatoslav Shevchuk. Per il mercoledì delle ceneri ha indetto una giornata di preghiera e di digiuno “per la pace in Ucraina e nel mondo intero”. E sia lui sia il segretario di Stato cardinale Pietro Parolin hanno più volte chiesto ai contendenti di deporre le armi. Ma “facendo finta di non capire che se si invoca il cessate il fuoco nel bel mezzo di un’invasione si sta in realtà invitando il popolo invaso alla capitolazione, gli si sta chiedendo di accettare l’occupazione del proprio paese”, ha scritto sul “Corriere della Sera” del 27 febbraio Angelo Panebianco, numero uno dei politologi italiani di scuola liberale.

Tutt’altra musica nelle Chiese dell’Ucraina invasa dalla Russia. Nei suoi appassionati messaggi ai fedeli, trasmessi ogni giorno dai sotterranei della cattedrale cattolica di Kyiv, l’arcivescovo Shevchuk prega per “gli eroici soldati della guardia di frontiera dell’isola Zmijiny nel Mar Nero” uccisi per non essersi arresi all’invasore, per “l’eroe che al prezzo della propria vita ha fermato l’esercito russo vicino a Kherson facendosi esplodere assieme al ponte sul fiume Dnipr”, insomma, sia “per tutte le vittime innocenti tra i civili” che “per tutti coloro che combattono in difesa della nazione”.

Ma c’è di più. Nemmeno la Chiesa ortodossa d’Ucraina soggetta al patriarcato di Mosca ha approvato l’invasione, come invece ha fatto in Russia la Chiesa madre. Il suo primate Onufry, metropolita di Kyiv, ha invocato fin dall’inizio la benedizione di Dio sui “nostri soldati che proteggono e difendono la nostra terra e il popolo, la sovranità e l’integrità dell’Ucraina”. E ha denunciato aggressioni a suoi sacerdoti e fedeli e devastazioni di chiese ucraine ortodosse ad opera delle truppe russe: tutto l’opposto di quanto asserito da Putin nel suo fantasioso discorso del 21 febbraio, in cui accusava le autorità ucraine di perseguitare gli ortodossi fedeli a Mosca e indicava in se stesso il giustiziere.

Non solo. Il 28 febbraio il sinodo di questa stessa Chiesa ha pubblicato un messaggio di piena solidarietà al popolo ucraino, con un diretto appello al patriarca di Mosca Kirill affinché chieda “alla leadership della Federazione Russa”, cioè a Putin, di “immediatamente fermare un’aggressione che già sta minacciando di trasformarsi in una guerra mondiale”. Con nessun commento, fino ad oggi, del patriarcato di Mosca.

Più prevedibile la condanna dell’invasione russa da parte dell’altra Chiesa ortodossa di Ucraina, indipendente dal patriarcato Mosca e da questo messa al bando ed esclusa dalla comunione eucaristica. Il suo metropolita Epifanio ha anche lui rivolto il 27 febbraio, domenica, “giorno in cui ricordiamo il giudizio universale”, un vibrante appello al patriarca Kirill, affinché “se non può levare la voce contro l’aggressione almeno aiuti a riportare in patria i corpi dei soldati russi che hanno pagato in Ucraina con le loro vite l’ idea della ‘grande Russia’”.

La “grande Russia”, sia politica che religiosa, è in effetti l’idea madre dell’aggressione di Mosca all’Ucraina. Idea che per Putin si fa disegno neoimperiale, mentre per il patriarcato di Mosca è questione d’identità e di primato.

La Chiesa ortodossa d’Ucraina soggetta alla giurisdizione di Mosca conta la metà del clero, un terzo dei fedeli e un buon 40 per cento delle parrocchie dell’intero patriarcato russo, 12 mila su 30 mila circa. Perderle, per Mosca sarebbe un dramma. E se poi a queste 12 mila parrocchie si sommano le altre migliaia appartenenti alle altre due Chiese ortodosse attualmente esistenti in Ucraina – quella con metropolita Epifanio e quella più piccola separatasi da Mosca al seguito dell’autoproclamato patriarca Filarete –, l’insieme dell’ortodossia ucraina diventerebbe la seconda più popolosa ortodossia del mondo, capace di rivaleggiare con il patriarcato di Mosca, fino ad oggi primo indiscusso per numero di fedeli.

Rivelatrice del timore di questa perdita è stata l’omelia che il patriarca Kirill ha tenuto domenica 27 febbraio a Mosca, tutta mirata a invocare la tenuta dell’unità – anche geografica e politica – tra l’ortodossia russa e la Chiesa ucraina soggetta a Mosca, “a protezione della nostra comune, storica madrepatria contro ogni forza esterna che voglia distruggere questa unità”.

Sta di fatto che l’aggressione della Russia all’Ucraina non aiuta a cementare questa unità. Tutto il contrario. Nei giorni scorsi, un sondaggio del centro di ricerca russo “Razumkov” ha riscontrato che ben due terzi dei fedeli della Chiesa ortodossa d’Ucraina soggetta al patriarcato di Mosca condannano l’invasione e che la stima per il loro primate Onufry – anche lui come s’è visto critico – è molto più alta di quella per il patriarca Kirill, la cui popolarità è scesa a picco.

Ma poi ci sono anche i quasi cinque milioni di ucraini greco-cattolici, una comunità viva, con una storia popolata di martiri, animata da sincero spirito ecumenico con i connazionali ortodossi e da un forte spirito d’autonomia rispetto alla Russia. È la Chiesa più in pericolo in un’Ucraina che cadesse sotto il giogo di Mosca, eppure è incredibilmente maltrattata da Roma, da quando Francesco è papa.

Alla fine del 2014 la prima aggressione della Russia all’Ucraina, l’occupazione armata della sua marca orientale nel Donbass e l’annessione della Crimea trovarono la Santa Sede ai margini, come indifferente, se non per lamentare, nelle parole di Francesco, una “violenza fratricida” che metteva tutti alla pari. E questo nonostante l’allora nunzio vaticano in Ucraina, Thomas E. Gullickson, inviasse rapporti sempre più allarmati sulle tragedie dell’occupazione. Ciò che a Francesco premeva di più era incontrare il patriarca di Mosca Kirill, legato a filo doppio con Putin e avversario irriducibile proprio dei greco-cattolici d’Ucraina, da lui squalificati – col termine sprezzante di “uniati” – come falsi imitatori papisti dell’unica vera fede cristiana ortodossa.

Nel febbraio del 2016 Francesco e Kirill si incontrarono all’Avana col protocollo laico dei capi di Stato, nell’area di transito dell’aeroporto, senza alcun momento di preghiera, senza una benedizione. Solo un colloquio privato e la firma di una dichiarazione congiunta tutta sbilanciata dalla parte di Mosca e subito accolta dai greco-cattolici ucraini, dallo stesso arcivescovo di Kyiv e persino dal nuovo nunzio Claudio Gugerotti come un “tradimento” e “un appoggio indiretto all’aggressione russa all’Ucraina”.

Due anni dopo, nel 2018, quando in Ucraina stava per nascere una nuova Chiesa ortodossa indipendente dal patriarcato di Mosca, vista da questo come una peste ma con simpatia dai greco-cattolici, di nuovo Francesco scelse di stare più dalla parte di Kirill e – ricevendo in Vaticano una delegazione del patriarcato russo presieduta dal suo potente ministro degli esteri, il metropolita Hilarion di Volokolamsk – si produsse in una arringa contro gli “uniati” greco-cattolici, a cui ingiunse di “non immischiarsi nelle cose interne della Chiesa ortodossa russa”. Il testo integrale dell’intervento del papa, che doveva restare riservato, fu alla fine reso pubblico dopo che il patriarcato di Mosca, plaudente, ne aveva anticipato i passaggi ad esso più favorevoli.

Oggi l’intero mondo ortodosso è in crisi drammatica proprio a motivo di quanto accade in Ucraina, dove la nuova Chiesa indipendente da Mosca ha ricevuto il riconoscimento canonico del patriarcato ecumenico di Costantinopoli, delle Chiese di Grecia e Cipro e del patriarcato di Alessandria e di tutta l’Africa. Ma proprio per questo Mosca ha rotto la comunione eucaristica con tutte queste Chiese.

In questo scisma che divide l’ortodossia, il patriarcato di Mosca sta persino operando per sottomettere l’Africa alla propria giurisdizione, sottraendola al patriarcato di Alessandria. È impensabile, quindi, che accetti passivamente di perdere l’Ucraina, come proprio sta accadendo, invece.

In un libro-intervista sulla storia del cristianesimo in Ucraina, l’arcivescovo greco-cattolico Shevchuk sogna la rinascita nel suo paese di un’unico patriarcato di tutti i cristiani, ortodossi e cattolici. Il sogno non è storicamente infondato, tutt’altro. Ma a Roma, al vertice della Chiesa, regna incertezza, se non smarrimento, al punto che nemmeno si osa dire il nome di chi sta aggredendo in armi l’Ucraina politica e religiosa.

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Riguardo agli ebrei d’Ucraina, tra i quali il presidente Zelensky, e ai rapporti tra Israele e la Russia, è di notevole interesse questa intervista del demografo israeliano Sergio Della Pergola:

> “Il cuore di Israele è verso l’Ucraina, ma la testa guarda anche a Mosca”

Come pure l’offerta di mediazione del rabbino capo della Russia Berel Lazar, nato a Milano e molto vicino a Putin, rilanciata dal quotidiano di Mosca “Kommersant“.

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POST SCRIPTUM – Poco dopo la pubblicazione di questo post, il patriarcato di Mosca ha dato notizia dettagliata, con numerose foto, di un incontro tra il patriarca Kirill e il nunzio apostolico in Russia, Giovanni D’Aniello, nella residenza ufficiale del patriarcato, il monastero Danilov:

> His Holiness Patriarch Kirill met with the Apostolic Nuncio in Russia

Secondo quanto riferito, il patriarca Kirill ha avuto solo parole di apprezzamento per papa Francesco, la cui “moderata e saggia posizione su molte questioni internazionali – ha detto – è coerente con la posizione della Chiesa ortodossa russa”, a partire dall’incontro di Cuba del 2016. “È molto importante che le Chiese cristiane, compresa la nostra, non diventino, volontariamente o involontariamente, a volte senza la minima intenzione, attori delle complesse e contraddittorie tendenze dell’attualità”, ha sottolineato il patriarca di Mosca.

(Fonte: Settimo Cielo)


Ricordate questa foto del 24 febbraio del 2015 che divenne virale in pochi minuti? I vescovi ucraini, al termine dell’udienza con papa Francesco, si recano a salutare Benedetto XVI e ricevano da lui la benedizione in ginocchio.

Intervista di Antonio di Francesco a don Nicola Bux su “La Verità” 7 marzo 2022

Ci sono le bombe, che dilaniano città e spezzano vite. Ci sono i tavoli negoziali, che allontanano le parti anziché avvicinarle, rendendo più concreta la prospettiva che il «peggio» debba ancora venire. E poi c’è l’altra guerra, quella religiosa, che lacera le Chiese di Russia e Ucraina. «Questo conflitto mette fortemente in imbarazzo anche il Vaticano», racconta alla Verità don Nicola Bux, teologo ed esperto di Chiese e liturgie orientali. «Dopo aver portato avanti un ecumenismo falso, papa Francesco è bloccato, non sa che pesci prendere: se si muove in favore di Mosca, si espone alle accuse dell’O c c idente; se si muove contro, rischia di pregiudicare la parata in agenda con il patriarca russo Kirill».

Don Bux, il mondo arabo è diviso da un conflitto religioso che va avanti da secoli. Si aspettava anche una nuova guerra tra cristiani, combattuta sul continente europeo?

«Mi torna in mente l’intervista che l’ideologo russo Alexander Dugin ha rilasciato al quotidiano Il Foglio, qualche anno fa: “Da patria del logos, l’Europa è diventata la caricatura di sé stessa, tutta spostata sulle ideologie gender e liberal”. Di fronte al tradimento delle radici cristiane, penso che Vladimir Putin si sia sentito investito di una missione, una sorta di ritorno al passato. Con l’appoggio della Chiesa ortodossa di Mosca».


Oltre alla presenza dei missili Nato al confine ci sarebbe altro, secondo lei?

«Prima dei missili, c’è una questione culturale: la Russia ha recuperato le radici cristiane che l’Europa ha smarrito».

Cosa c’entra la guerra in tutto questo?
«La guerra è anche l’esito di tutto ciò: il conflitto poggia sulla visione, per noi assurda, che per frenare la deriva antropologica europea si possa ricorrere anche alle armi».

Ecco, per noi è assurdo.

«Il problema è che l’Occidente, in particolar modo gli Stati Uniti, hanno fatto la stessa cosa: abbiamo visto che cosa ha comportato l’idea di esportare la democrazia nei regimi mediorientali » .

Siamo di fronte a due concetti diametralmente opposti di democrazia, non trova?

«Putin ha un’idea corrotta della democrazia: visti i frutti prodotti dall’immigrazionismo dissennato e le teorie gender portate avanti dall’Occidente, per lui questa democrazia ha fallito» .

A ciò si aggiungono gli interessi della Chiesa ortodossa russa: lo scisma tra il patriarcato di Mosca e quello di Kiev è stato un duro colpo per il patriarca Kirill. Il riconoscimento della Chiesa ucraina indipendente da parte del patriarcato di Costantinopoli ha indebolito la sua figura. La sua è una partita parallela?

«Qui entra in gioco la famosa “sinfonia”, che per noi era l’alleanza tra il Trono e l’Altare » .

Cioè ?

«Per gli ortodossi deve esserci una sinfonia tra la Chiesa e lo Stato: le due realtà, seppur di Francesco si è appiattito sulla linea del Patriarca di Costantinopoli e sulle sue battaglie «verdi» Per Mosca è imbarazzante: come possono accettarlo? stinte, devono marciare in armonia se vogliono raggiungere la salvezza dell’umanità. Chi conosce la “sinfonia”può comprendere come Mosca voglia proteggere la parte di nazione russa presente in Ucraina con una sua Chiesa, anche se ciò contrasta con la visione della cultura e della politica proprie della Chiesa ortodossa ucraina, su cui ha steso il manto Bartolomeo di Costantinopoli, almeno per quel che riguarda la politica ecclesiastica » .

È stato proprio Bartolomeo a riconoscere l’indipendenza della Chiesa ucraina, per questo è finito nel mirino di Mosca .

«Lui è supportato dagli americani. Il patriarcato di Costantinopoli a Istanbul sta lì, tollerato dai turchi, perché dietro c’è l’America. Anche il Vaticano, con il nunzio apostolico ad Ankara, protegge il patriarcato, altrimenti lo avrebbero già buttato a mare: turchi e greci sono come cane e gatto».

Dopo i 236 sacerdoti e diaconi della Chiesa ortodossa russa, LUNEDÌ 7 MARZO 2022 anche il capo della Chiesa ucraina sottoposta al patriarcato di Mosca chiede a Putin di mettere fine alla guerra. L’unico a non aver espresso parole di condanna chiare resta proprio Kirill: c’è imbarazzo nella Chiesa di Mosca?

«Non ne sono convinto, non credo ci sia imbarazzo nel patriarcato moscovita. Anche i russi contrari alla guerra nei confronti di Kiev, che è la culla del cristianesimo slavo, in larga parte non sono favorevoli ai “diritti”che l’Unione europea propone, condivisi invece dalla parte eurofila dell’Ucraina».

In Russia, chi manifesta per la pace finisce in carcere, compresi bambini e anziani. Come può il Patriarca restare indifferente a tutto ciò?

«Il quadro di riferimento è diverso dal nostro: i russi hanno l’idea della nazione, alla quale va sottomesso tutto. Nella strage dei Romanov, del resto, anche i bolscevichi non si sono fatti problemi ad uccidere i figli di Nicola II. Kirill viene dal mondo del Kgb: il Patriarca non parla perché il braccio secolare della Russia lo copre e lo benedice».

Che ruolo potrebbe avere la Santa Sede in questa guerra?

«Appiattita com’è sulla visione democratica americana e su quella popolar movimentista latinoamericana, temo che la Santa Sede non avrà alcun ruolo, almeno non di peso».

Non la convince la prospettiva che papa Francesco possa porsi come mediatore in questa crisi?

«Fatico a immaginarlo nelle vesti del mediatore: proprio lui che non ha mai nascosto tendenze progressiste? Il Papa sta cercando in tutti i modi di trasferire alla Chiesa cattolica l’idea di sinodalità degli ortodossi, pericolosa e fallimentare. Si è appiattito sulle posizioni del Patriarca di Costantinopoli e sulle sue battaglie “verdi”, credo che ciò sia imbarazzante anche per Mosca: come potrebbero accettarlo dopo aver ascoltato le proposte che in questi anni ha portato avanti?».

Quali altre sarebbero?

«Senza dubbio, l’appoggio all’immigrazionismo indiscriminato, per lo più di matrice islamica. Per i russi, quello islamico è un popolo da evangelizzare e non riescono a tollerare che l’Europa cristiana si lasci invadere in maniera passiva. Ricordo la lectio magistralis del metropolita Hilarion Alfeev, alto rappresentante del patriarcato moscovita, che dalla Facoltà teologica di Bari ha lanciato un duro attacco al cristianesimo europeo, asservito a una agenda che svende il continente e stravolge l’antropologia » .

Cosa pensa della visita di papa Francesco all’ambasciata russa presso la Santa Sede? La versione «turista per caso» del Santo Padre ha generato qualche malumore nella diplomazia vaticana

«Riprendo le parole con cui un cardinale l’ha commentata: “Si fa di tutto per essere ammirati dagli uomini”».

Che cosa intende?

«Francesco si lancia in questi atti spettacolari perché vuole farsi notare, far vedere che rompe gli schemi. Non si accorge che sta demolendo la sacralità della figura del papa».

A proposito, c’è chi non ha gradito la sua presenza in un talk show qualche tempo fa.

«Per la corrente interna al mondo cattolico che odia il sacro, tutto ciò non è un problema. Chi vede il papa come un vicario di Cristo e non come un funzionario, invece, non lo accetta. Il successore di Pietro non va da Fabio Fazio. Paolo VI diceva: “Montini non c’è più, c’è solo Paolo VI”. Oggi quella frase andrebbe letta al contrario: il papa è Bergoglio, non Francesco. Vuole che a emergere sia la persona, non la funzione di cui è stato investito».

Secondo il capo della Chiesa greco-cattolico-ucraina, Sviatoslav Shevchuk, se Francesco fosse andato in Ucraina la guerra sarebbe finita ancor prima di iniziare.

«Non credo che Francesco ascolti i greco-cattolici. Non ha mai amato i cosiddetti uniati, ha sempre preferito gli ortodossi ai cattolici come lui. A differenza di San Giovanni Paolo II, che conosceva bene le dinamiche interne al mondo slavo, ha una visione progressista, imbevuta della convinzione che i grecocattolici siano da tenere a distanza perché impediscono l’ecumenismo con gli ortodossi. Mentre agli ortodossi vengono stesi i tappeti rossi in Vaticano, i greco-cattolici devono passare dalla porta di servizio, come se fossero dei credenti di seconda categoria. Un documento voluto dal cardinal Silvestrini a Balamand, in Libano, nel 1998 ripudia come metodo di unità del passato l’unione di una Chiesa ortodossa con Roma. O lo fanno tutte le 14 Chiese ortodosse o nessuna può farlo da sola: insomma, un’utopia. Mentre le Chiese ortodosse si scomunicano tra loro, l’ecumenismo dei cattolici è fallito».

In cosa è fallito, secondo lei?

«L’ecumenismo si basa sul principio che siamo tutti cristiani battezzati: chi passa da una Chiesa all’altra, per esempio, non deve essere ribattezzato. Invece, ortodossi russi e greci lo fanno. Di fronte all’inimmaginabile scristianizzazione dell’Europa, c’è da riprendere la strada dell’evangelizzazione: solo così la divisione tra i cristiani finirà».

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