Sottoponiamo all’attenzione dei nostri lettori un ottimo articolo dei giornalisti americani Robert Siscoe e John Salza (tradotto da Carlo Schena e pubblicato nel blog di Marco Tosatti) in cui si spiega — primo — perché è fuori dalla Chiesa chi nega la validità dell’elezione di Francesco e — secondo — che l’artificiosa divisione da munus e ministerium è una discussione perniciosa che non invalida la rinuncia di Benedetto XVI.
Cardinal Ratzinger: Chi non accetta l’elezione di un papa è fuori dalla Chiesa
Robert Siscoe e John Salza
Nel 1998, il cardinale Ratzinger (futuro Papa Benedetto XVI), in qualità di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, pubblicò una Nota Illustrativa alla Professio fidei (Professione di fede) del 1989. In questo commento, proprio l’uomo che secondo fra’Bugnolo [e Cionci, NdT] è ancora il vero Papa spiega che la legittimità di un’elezione papale (che la Chiesa accetta come legittima, come nel caso di Papa Francesco), deve essere ritenuta de fide, sulla base del infallibilità del Magistero della Chiesa. L’argomentazione teologica di Ratzinger è coerente, ovviamente, con quella del Berry, del Tanquery, del Van Noort, di Giovanni di San Tommaso e di ogni altro teologo che ha affrontato l’argomento (ne elenchiamo 40 sul nostro sito web) .
La Professio fidei del 1989 comprende tre categorie di verità: (a) dogmi, (b) dottrine insegnate definitivamente dalla Chiesa (ma non definite come formalmente rivelate) e (c) dottrine insegnate in modo autorevole, ma non definitivo, dal Magistero. Nella Nota, il cardinale Ratzinger spiega la natura dell’assenso dovuto alle verità contenute in ciascuna delle rispettive categorie, e descrive le conseguenze del non prestarvi l’assenso richiesto. La legittimità di un’elezione papale rientra nella seconda categoria, come fatto dogmatico. Ecco come il cardinale Ratzinger descrive la seconda categoria di verità:
“La seconda proposizione della Professio fidei afferma: «Fermamente accolgo e ritengo anche tutte e singole le verità circa la dottrina che riguarda la fede o i costumi proposte dalla Chiesa in modo definitivo».
L’oggetto che viene insegnato con questa formula comprende tutte quelle dottrine attinenti al campo dogmatico o morale, che sono necessarie per custodire ed esporre fedelmente il deposito della fede, sebbene non siano state proposte dal magistero della Chiesa come formalmente rivelate.
Tali dottrine possono essere definite in forma solenne dal Romano Pontefice quando parla «ex cathedra» o dal Collegio dei Vescovi radunato in concilio, oppure possono essere infallibilmente insegnate dal magistero ordinario e universale della Chiesa come “sententia definitive tenenda”. Ogni credente, pertanto, è tenuto a prestare a queste verità il suo assenso fermo e definitivo, fondato sulla fede nell’assistenza dello Spirito Santo al magistero della Chiesa, e sulla dottrina cattolica dell’infallibilità del magistero in queste materie”.
La nota prosegue spiegando precisamente quali verità sono contenute nella seconda categoria e (avete indovinato) vi include la legittimità dell’elezione di un Papa:
“Le verità relative a questo secondo comma possono essere di natura diversa e rivestono quindi un carattere differente per il loro rapportarsi alla rivelazione. Esistono, infatti, verità che sono necessariamente connesse con la rivelazione in forza di un rapporto storico [c.d. “fatti dogmatici”] […] Con riferimento alle verità connesse con la rivelazione per necessità storica, che sono da tenersi in modo definitivo, ma che non potranno essere dichiarate come divinamente rivelate, si possono indicare come esempi la legittimità dell’elezione del Sommo Pontefice […]”.
E qual è la conseguenza del negare una verità di questa seconda categoria? Spiega il cardinale Ratzinger:
“Chi le negasse, assumerebbe una posizione di rifiuto di verità della dottrina cattolica e pertanto non sarebbe più in piena comunione con la Chiesa cattolica” (sottolineature e grassettature aggiunte).

Quindi, secondo il commento ufficiale alla Professione di Fede del 1989, emesso dal Cardinale Ratzinger come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, chi rifiuta di dare un assenso definitivo alla legittimità dell’elezione del Sommo Pontefice è colpevole della negazione di una dottrina cattolica, e quindi non è più “in piena comunione con la Chiesa cattolica” o, detto diversamente, si è da sé tagliato fuori dalla Chiesa.
Inutile dire che non viene fatta eccezione alcuna per coloro che rifiutano un’elezione che la Chiesa ha accettato come legittima sulla base delle loro speculazioni personali circa dimissioni forzate, conclavi irregolari, interpretazioni private del diritto canonico e simili. Questo perché l’accettazione da parte della Chiesa della legittimità di un’elezione è un atto infallibile. Se il Magistero accetta l’elezione come legittima, questa deve essere definitivamente ritenuta legittima sulla base dell’infallibilità della Chiesa.
Così, la teoria sponsorizzata da fra’ Bugnolo secondo cui l’abdicazione di Benedetto non è stata accettata da Cristo perché ha usato una parola sbagliata (ministerium invece di munus), e il suo conseguente rifiuto della legittimità dell’elezione di Francesco, è un rifiuto di quanto la Chiesa ha definitivamente proposto come materia di fede, e che è necessario “per custodire ed esporre fedelmente il deposito della fede”.
Fra’ Bugnolo sembra non capire che così come Cristo è la causa efficiente che rende un uomo il Papa, unendo la forma (Papa) alla materia (uomo), così pure è Lui la causa efficiente che rende il Papa non più tale, se questi abdica, separando la forma (Papa) dalla materia (uomo). Cristo non è vincolato da leggi ecclesiastiche umane. Nessun tecnicismo legale può impedire a Cristo di separare un uomo dal papato, specialmente se il Papa ha convinto l’intero mondo cattolico delle sue dimissioni, e poi se ne è stato a guardare in tutta tranquillità la convocazione di un nuovo conclave e l’elezione di un nuovo papa. Tutti gli argomenti canonistici del Bugnolo presuppongono che Cristo sia vincolato dalla legge ecclesiastica umana, e ognuno di essi, teso a provare che l’abdicazione di Benedetto non fu accettata da Cristo, sono smentiti dal “fatto” (fatto dogmatico) che l’elezione di Francesco è stata accettata dall’intera Chiesa, nei giorni, settimane e mesi successivi.
Francesco è il Papa che la Chiesa si meritava, ed è il Papa di cui la Chiesa aveva bisogno per svegliare i fedeli addormentati. E ora sono svegli. Basta guardare alla reazione al recente e vile scandalo della Pachamama e confrontarla con la sostanziale “non-reazione” all’incontro di preghiera di Assisi del 1986 promosso da Giovanni Paolo II (incontro nel quale, tra le altre cose, una statua di Budda fu posta su un altare Cattolico) – che fu uno scandalo e un sacrilegio ancora più grave.
(fonte: trueorfalsepope.com; traduzione: marcotosatti.com)
Ma dove avrebbe detto che “Francesco è Papa e chi lo nega è fuori”?
🤔
Non sto dicendo che è sbagliato dire che l’elezione al Sommo Pontificato è atto di Magistero infallibile.
Ma, ci sono comunque delle cose che portano a dubitare.
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Articolo da incompetenti, mi meraviglio che l’abbiate pubblicato! Allego un mio articolo del 12 c.m. pubblicato sul blog “Dalla Casata di Levazono”.
Papa Francesco è realmente Papa?
A qualcuno sembrerà sollevi un interrogativo senza senso, meritevole persino di qualche rimprovero. Lo comprendo, ma la questione esiste, non l’ho inventata io. C’è, a tal punto che, per alcuni ultimo Papa sarebbe Pio XII e adesso saremmo «in sede vacante». Altri, meno radicali, affermano che Papa è ancora Benedetto XVI. Questa tesi nell’ultimo anno si è divulgata a livello mondiale, tramite centinaia di articoli e (a mio sapere) tre libri. La Santa Sede ammonisce a non seguire queste tesi; ma poi, quasi dandosi la zappa sui piedi, papa Francesco toglie a se stesso il titolo di «vicario di Cristo», che è proprio dei Papi; ammesso che l’abbia fatto per una sua idea (assai discutibile) di umiltà, era proprio la mossa da non fare.
A creare la questione è stato, per alcuni volutamente, lo stesso Benedetto XVI, per: 1) Il modo in cui s’è ritirato; 2) Le motivazioni for-nite; 3) Il successivo modo di vivere. Vediamo, in estrema sintesi, i primi due punti:
1) Fummo subito stupiti non solo del suo ritirarsi ma del modo subdolo, precipitoso, in un latino impreciso (lui che è tanto preciso) con il quale comunicò la sua scelta; perché tale fretta? Perché tali sotterfugi?
2) Nella comunicazione del ritiro, Benedetto XVI fece un’importante distinzione tra munus e ministerium. Munus è un dono che comporta un impegno, ministerium è un incarico, un compito che viene assegnato. Benedetto XVI disse che al munus di Papa, ricevuto direttamente da Dio, corrispondono tre ministeria o compiti: pregare, governare la Chiesa, insegnare le verità di Fede. Disse che non poteva rinunciare al munus, poiché non poteva «respingere al mittente» il dono che Dio gli aveva fatto, né rinunciava all’impegno della preghiera, ma ai ministeria di governo e magistero.
Se è così, poiché la Chiesa non può avere contemporaneamente due Papi, Mario Bergoglio è solo (si fa per dire) colui che esercita i ministeria del governo e del magistero, i più appariscenti e concreti, mentre quello della preghiera e il munus, che sono spirituali, farebbero capo ancora a Benedetto XVI, di cui Bergoglio sarebbe – a questo punto – semplicemente un luogotenente ad pascendum, cioè ad regendum et docendum. Che pasticcio!
don Floriano Pellegrini
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