Si narra di una mamma che ebbe a che fare con un figliolo che – giunto alle scuole superiori – proprio non ne digeriva l’andamento e pensava in cuor suo che – cambiando scuola – le cose sarebbero andate meglio. La mamma, non molto convinta, decise di accordare al figliolo una opportunità e così accompagnò il giovane dal preside di un’altra scuola. Una scuola privata, di preti salesiani…
Messo al corrente di tutta la situazione, il sacerdote-preside e saggio prendendo la parola spiegò al giovane quanto segue: “e sta bene! Siamo pronti ad accoglierti nell’istituto ma prima devi fare quanto segue. Da quanto comprendo il problema è tuo, è dentro di te e perciò, se prima non rimuovi l’ostacolo che è dentro di te, a nulla gioverà che tu cambi una, dieci, venti scuole, perché essendo dentro di te questo conflitto, continuerai a portar questo problema sempre dentro di te. Prima rimuovi l’ostacolo che è dentro di te, poi se vuoi, potrai trasferirti pure qui da noi…”
Il giovane comprese! Rimase nella sua vecchia scuola e – rimuovendo quegli ostacoli interiori – superò brillantemente i vari esami, diplomandosi ed affermandosi onestamente nella vita.
Questa premessa (valida anche per ognuno di noi) è importante per comprendere IL GOVERNO di questo Pontificato; le persone con le quali papa Francesco si confida e accorda – spesso senza alcun discernimento – la sua fiducia quasi incondizionata, finendo alla fine per danneggiare l’immagine della Chiesa che rappresenta in terra… a causa dei fallimenti di certe “riforme-rivoluzionarie” fondate più su progetti ambiziosi e personali, che non ad altro. San Paolo insegnando come “tutto mi è lecito, ma non tutto giova“, si sollecita a meditare su ciò che davvero giova… e sollecita anche Pietro!
Dunque: “L’‘obolo di San Pietro’ è l’espressione più tipica della partecipazione di tutti i fedeli alle iniziative di bene del Vescovo di Roma nei confronti della Chiesa universale. E’ un gesto che ha valore non soltanto pratico, ma anche fortemente simbolico, come segno di comunione col Papa e di attenzione alle necessità dei fratelli; e per questo il vostro servizio possiede un valore squisitamente ecclesiale” (Discorso ai Soci del Circolo di San Pietro, 25 febbraio 2006).
Il valore ecclesiale di questo gesto appare considerando come le iniziative di bene sono connaturali alla Chiesa, come il Papa ha indicato nella sua prima Enciclica Deus caritas est (25 dicembre 2005):
“La Chiesa non può mai essere dispensata dall’esercizio della carità come attività organizzata dei credenti e, d’altra parte, non ci sarà mai una situazione in cui non occorra la carità di ciascun singolo cristiano, perché l’uomo, al di là della giustizia, ha e avrà sempre bisogno dell’amore” (n. 29).
Si tratta di un aiuto che è sempre animato dall’amore che viene da Dio:
“E’ perciò molto importante che l’attività caritativa della Chiesa mantenga tutto il suo splendore e non si dissolva nella comune organizzazione assistenziale, diventandone una semplice variante”(…) “Il programma del cristiano – il programma del buon Samaritano, il programma di Gesù – è ‘un cuore che vede’. Questo cuore vede dove c’è bisogno di amore e agisce in modo conseguente” (ibidem, n. 31).
* * *
Attenzione: per l’Obolo come forma del sostegno dei credenti al ministero dei successori di San Pietro al servizio della Chiesa universale era già stata espressa dai Pontefici precedenti. Così, ad esempio, si era espresso Giovanni Paolo II:
“Vi sono note le crescenti necessità dell’apostolato, i bisogni delle Comunità ecclesiali specialmente in terra di missione, le richieste di aiuto che giungono da popolazioni, individui e famiglie che versano in condizioni precarie. Tanti attendono dalla Sede Apostolica un sostegno che spesso non riescono a trovare altrove.
In quest’ottica, l’Obolo costituisce una vera e propria partecipazione all’azione evangelizzatrice, specialmente se si considerano il senso e l’importanza di condividere concretamente le sollecitudini della Chiesa universale” (Giovanni Paolo II al Circolo San Pietro, 28 febbraio 2003).
Le offerte dei fedeli al Santo Padre sono destinate alle opere ecclesiali, alle iniziative umanitarie e di promozione sociale, come anche al sostentamento delle attività della Santa Sede. Il Papa, come Pastore di tutta la Chiesa, si preoccupa anche delle necessità materiali di diocesi povere, istituti religiosi e fedeli in gravi difficoltà (poveri, bambini, anziani, emarginati, vittime di guerre e disastri naturali; aiuti particolari a Vescovi o Diocesi in necessità, educazione cattolica, aiuto a profughi e migranti, ecc.).
Il criterio generale che ispira la pratica dell’Obolo si richiama alla Chiesa primitiva:
“La base primaria per il sostegno della Sede Apostolica dev’essere costituita dalle offerte date spontaneamente dai cattolici di tutto il mondo, ed eventualmente anche da altre persone di buona volontà. Questo corrisponde alla tradizione che ha le sue origini nel Vangelo (Lc 10,7) e negli insegnamenti degli Apostoli (1 Cor 9,11)” (Lettera di Giovanni Paolo II al Cardinale Segretario di Stato, 20 novembre 1982).
Già nel Vangelo di Luca leggiamo: «Gesù se ne andava per le città e i villaggi, predicando e annunziando la buona novella del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Màgdala, dalla quale erano usciti sette demòni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni» (Lc 8, 1-3).
Questa partecipazione concreta, anche economica, ai bisogni della comunità ecclesiale più ampia ha preso forme diverse lungo la storia, attraverso collette e donazioni di singoli fedeli o di intere chiese locali; con la consapevolezza che tutti i battezzati sono chiamati a sostenere anche materialmente, con ciò che si può, l’opera di evangelizzazione e al tempo stesso di soccorrere i poveri.
“Quanto poi alla colletta in favore dei fratelli, fate anche voi come ho ordinato alle Chiese della Galazia. Ogni primo giorno della settimana ciascuno metta da parte ciò che gli è riuscito di risparmiare, perché non si facciano le collette proprio quando verrò io. Quando sarò arrivato, manderò il vostro dono con delle lettere di presentazione a Gerusalemme, tramite quelle persone, degne della vostra fiducia, che voi stessi avrete scelto. Se mi sembrerà il caso di andare, andrò io stesso, e i vostri inviati verranno con me” (1Cor 16, 1-4).
Nel Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 i precetti della Chiesa sono così formulati:
1 «Parteciperai alla Messa la domenica e alle altre feste comandate» stabilisce la frequenza minima alla celebrazione eucaristica. Le feste di precetto infrasettimanali stabilite per la Chiesa universale sono dieci, ma le Conferenze episcopali possono variarne il numero, cosicché risultano diverse da luogo a luogo.
2 «Confesserai tutti i tuoi peccati almeno una volta all’anno» stabilisce la frequenza minima al sacramento della Penitenza.
3 «Riceverai umilmente il tuo Creatore almeno a Pasqua» stabilisce che ogni fedele debba comunicarsi, cioè partecipare all’eucaristia, a Pasqua. Nelle altre domeniche e feste di precetto in cui si deve partecipare alla Messa secondo il primo precetto, non è obbligatorio comunicarsi. Prima di comunicarsi il fedele deve aver ricevuto l’assoluzione sacramentale per i suoi peccati.
4 «Santificherai le feste che ti sono comandate» prevede un obbligo più ampio, ma anche meno definito, rispetto al primo precetto, nel quale rientra soprattutto l’astensione dal lavoro nei giorni festivi. Ripete il terzo comandamento.
5 «Osserverai il digiuno prescritto e parimenti l’astinenza» stabilisce l’obbligatorietà di osservare il digiuno ecclesiastico e l’astinenza dalle carni nei giorni prescritti dalla Chiesa.
A questi cinque precetti il Catechismo aggiunge «l’obbligo di sovvenire alle necessità materiali della Chiesa, ciascuno in base alle proprie possibilità».
Una formulazione diversa, più simile a quella tradizionale, si trova però nel Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica.
1 «Partecipare alla Messa la domenica e le altre feste comandate e rimanere liberi da lavori e da attività che potrebbero impedire la santificazione di tali giorni.»
2 «Confessare i propri peccati almeno una volta all’anno.»
3 «Ricevere il sacramento dell’eucaristia almeno a Pasqua.»
4 «Astenersi dal mangiare carne e osservare il digiuno nei giorni stabiliti dalla Chiesa.»
5 «Sovvenire alle necessità materiali della Chiesa stessa, secondo le proprie possibilità.»
- IL MOTU PROPRIO DEL PAPA
Senza l’obolo, la Segreteria di Stato perde il suo potere
di Nico Spuntoni – del 30.12.2020
Col motu proprio che trasferisce l’obolo di San Pietro all’Apsa di Monsignor Galantino, la Segreteria di Stato de facto finisce di essere il cuore nevralgico della curia e viene equiparata agli altri dicasteri. Papa Francesco scommette esclusivamente sugli esterni competenti e sugli interni più fidati.

Il cardinale Sergio Sebastiani, ai tempi della sua presidenza alla Prefettura degli affari economici, era solito dire che “i soldi dei poveri sono la ricchezza e il presidio di libertà della Sede di Pietro”. Si riferiva all’Obolo di San Pietro, le donazioni fatte arrivare al Papa dai fedeli di tutto il mondo per le opere di carità e il sostentamento della Sede Apostolica e gestite fino ad oggi dal cosiddetto ufficio amministrativo della Segreteria di Stato.
Il nuovo motu proprio di Francesco in materia di finanze vaticane trasferisce la gestione della massa oblativa all’Apsa e ridimensiona drasticamente l’ufficio preposto fino ad oggi ad occuparsene, relegandolo alla sola funzione di preparare il proprio bilancio preventivo e consuntivo. D’altra parte, proprio l’ufficio un tempo guidato da monsignor Perlasca è stato il focolaio dell’incendio londinese che ha finito per bruciare la carriera di pezzi da novanta come Enrico Crasso, Fabrizio Tirabassi e la chance di partecipare al Conclave dell’ex numero due della Segreteria di Stato, il cardinale Giovanni Angelo Becciu.
L’indagine giudiziaria sui fatti sembra ben lontana dall’essere conclusa e in questo anno e mezzo non si è fatta mancare qualche scivolone, ma il danno creato alla credibilità della Chiesa dall’enorme clamore mediatico sul presunto impiego dell’Obolo in operazioni definite “opache” dallo stesso Segretario di Stato deve aver convinto il pontefice a dare un forte segnale di discontinuità con il recente passato.
L’andamento delle donazioni fatte dai cattolici di tutto il mondo il 29 giugno – ma non solo – è stato altalenante in questi anni ma ha dimostrato, tutto sommato, una buona tenuta al cospetto dei non pochi scandali finanziari che si sono susseguiti da Vatileaks in poi trovando largo – a tratti eccessivo – spazio su giornali, libri e tv. In verità, attingere all’Obolo di San Pietro per motivi diversi dalla carità in favore dei bisognosi non rappresenta, a differenza di quanto fatto credere in questi mesi da numerose ricostruzioni giornalistiche con conseguenze negative per l’immagine della Chiesa, un tradimento della missione originaria della colletta universale dei fedeli dal momento che tra le sue finalità c’è anche quella di aiutare il sostentamento delle attività della Santa Sede e quello immobiliare, come ha detto il Papa in Giappone, è un investimento “da vedove” che può contribuire a tale scopo.
Questo al di là di eventuali errori commessi nel caso specifico. In ogni caso, la congiuntura tra la crisi economica scaturita dalla pandemia e la percezione di un uso improprio fatto del denaro inviato a Roma per aiutare le opere ecclesiali potrebbe avere conseguenze pesantemente negative sui numeri dell’antica pratica introdotta ufficialmente da Pio IX e che rappresenta una garanzia di libertà ed autonomia per la Chiesa. Da qui la necessità di prendere decisioni radicali in grado di arrestare il calo di fiducia dei fedeli, cogliendo al tempo stesso la palla al balzo per procedere a quella centralizzazione e razionalizzazione delle finanze vaticane di cui si parla dal 2013 ma che ha incontrato non pochi problemi in questi anni.
Il motu proprio ribattezzato “Una migliore organizzazione” segna un ribaltamento di gerarchie consolidate già ampiamente annunciato da un’intervista di ottobre del numero uno della Segreteria per l’Economia, il gesuita Guerrero Alves e dalla lettera del Papa al cardinale Parolin (di agosto, ma pubblicata a novembre) con cui veniva ordinato il passaggio della gestione amministrativa dei fondi della Segreteria di Stato all’Apsa.
La Segreteria di Stato formalmente resta il “dicastero che sostiene più da vicino e direttamente l’azione” del Santo Padre ma de facto finisce per essere equiparata agli altri dicasteri, dovendo incassare la perdita di quell’autonomia economica per la quale sembra esserle stata fatale la presunta gestione disinvolta dell’affare londinese. In Terza Loggia del Palazzo Apostolico rimane la possibilità di “una voce di spesa per attività o emergenze impreviste”, ma anche in questo caso con l’obbligo di “regolare rendicontazione”.
La perentorietà del motu proprio nel dettare le scadenze temporali (non oltre il 4 febbraio 2021) entro cui procedere al passaggio della “titolarità dei fondi e dei conti bancari, degli investimenti mobiliari e immobiliari, ivi incluse le partecipazioni in società e fondi di investimento” all’Apsa e quella richiesta di affidare una “procura generale ad agire in nome e per conto della Segreteria” nei casi in cui non sia possibile o conveniente farlo dà l’idea di un Papa che, come aveva avuto modo di dire a Becciu durante il drammatico incontro che portò alla destituzione del porporato sardo, sente di non avere più fiducia nella gestione economica del dicastero della Curia che più collabora al governo della Chiesa. “Non è opportuno che compia quelle funzioni in materia economica e finanziaria già attribuite per competenza ad altri Dicasteri”, scrive il Papa nel documento mettendo nero su bianco la sua volontà di attuare senza più gradualità ed eccezioni quella “semplificazione e razionalizzazione degli organi esistenti” invocata ad inizio pontificato dalla riunione del Consiglio di cardinali per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede.
Non c’è da stupirsi se sia stata scelta l’Apsa come perno di questo sistema centralizzato in materia di finanze: l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica da sempre si occupa di fare investimenti in beni immobili e mobili non solo per sé ma anche per gli altri enti della Curia, quindi l’attribuzione delle prerogative sottratte alla Segreteria di Stato appare come l’esito naturale ed anche più sensato. In questo momento, reduce dalla delusione verso uomini in Terza Loggia a cui aveva dato fiducia ma che non sentiva strettamente suoi, il Papa sembra aver preferito affidare una delle riforme più attese del suo pontificato nelle mani della cosiddetta Banca centrale del Vaticano che presenta caratteristiche ai suoi occhi rassicuranti: la fedeltà personale di monsignor Nunzio Galantino che la presiede e la credibilità internazionale di Fabio Gasperini, primo manager laico nominato segretario.
Ma i poteri dell’Apsa non saranno illimitati e saranno sottoposti al controllo della Segreteria per l’Economia a cui il motu proprio “Una migliore organizzazione” attribuisce la funzione di Segreteria Papale per le materie economiche e finanziarie. Segreteria a capo di cui Francesco ha voluto padre Guerrero Alves, gesuita come lui consigliato dal preposito generale della Compagnia di Gesù e a cui è stato chiesto di rinunciare all’ordinazione episcopale. Alla soglia del nono anno di pontificato, dopo l’annus horribilis segnato dallo scandalo londinese, Francesco sa di giocarsi molto sulla questione finanze e per non rischiare ulteriori errori o rallentamenti sembra aver deciso di scommettere esclusivamente sugli ‘esterni’ competenti e sugli ‘interni’ più fidati. Tra questi ultimi, però, non ci sono i vertici della Segreteria di Stato che per la prima volta nella storia, più che cuore nevralgico della Curia, assume le caratteristiche di un dicastero primus inter pares.