Papa Francesco: un pastore ribelle? Il percorso errato del Pontefice…

Cari Amici, quanto vi proponiamo proviene da una nostra traduzione di un testo integrale sul quale è bene fermarsi per riflettere. Troverete il testo scaricabile qui anche in formato pdf: Papa Francesco pastore ribelle

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senza sottovalutare questi altri, importanti per comprendere i fatti:

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(da strage dottrinale: le epurazioni continuano…)


 

Papa Francesco, il pastore ribelle

Il percorso errato del Pontefice.

Daniel J. Mahoney (National Review, 06-02-2020)

Nei primi due anni del pontificato di papa Francesco, i cattolici conservatori, fecero sforzi eroici per mettere in continuità i modi sconcertanti del nuovo papa con i pensieri e le azioni dei suoi predecessori immediati. Si diceva che egli fu stato un forte critico della teologia della liberazione, almeno nelle sue espressioni marxiste, che era un uomo di pietà tradizionale, che ha parlato delle macchinazioni del Maligno con sorprendente regolarità, e che il suo stile – sfacciato, critico ai modi consolidati, ansioso di dialogare con il mondo moderno – era un modo rinfrescante di portare l’ortodossia cristiana al mondo moderno. Ma ci sono stati i primi segnali che hanno messo in discussione questo rassicurante consenso. Francesco sembrava sospettoso nei confronti dei cattolici più fedeli: erano – secondo lui – rigidi, ossessionati dai mali dell’aborto e dei peccati sessuali, chiusi alla necessità di una Chiesa aperta all’attivismo umanitario e che minimizzasse il Dogma e persino la stessa Verità.

Se papa Giovanni Paolo II si è opposto alla barbarie e alla menzogne comuniste con un coraggio e un’integrità che hanno contribuito ad accendere le rivolte del 1989, e se l’immensamente colto papa Benedetto XVI ha dato al nichilismo morbido un nome straordinariamente descrittivo e accurato – “dittatura del relativismo” –, papa Francesco non ha voluto mettere alle strette il mondo – non lo ha fatto in nome del “cambiamento” e della deferenza ai presunti “segni dei tempi”. Come ha osservato una volta il cardinale Joseph Zen di Hong Kong, Francesco ha voluto vedere i comunisti come vittime della dittatura militare latinoamericana in quanto amanti dei poveri, quindi in momenti decisivi sono stati più cristiani dei cristiani. I gulag e le massicce persecuzioni religiose non hai mai messo in discussione la visione relativamente benigna che egli ha dei comunisti.

Come ha sottolineato l’estimabile padre Raymond J. de Souza nel numero del 28 novembre 2019 del Catholic Herald, papa Francesco ha un debole per i leader di sinistra che opprimono la società civile in nome della giustizia sociale e della solidarietà con i poveri. Il leader boliviano Evo Morales, recentemente deposto, era, scrive de Souza, «il leader preferito del Santo Padre nelle Americhe», ed «è strano, poiché [Morales] era un tiranno». Francesco ha incontrato il demagogico Morales sei volte in sei anni, considerandolo suo amico. In un atto mai adeguatamente spiegato dal Vaticano, osserva de Souza, quando il Papa argentino ha visitato la Bolivia nel 2015 ha accettato da Morales un crocifisso ornato di martello e falce.

Tutto questo, ahimè, si inserisce in un modello molto più ampio. Francesco ha veramente stimato Fidel Castro e ha detto ai giornalisti, dopo la sua visita a Cuba nel 2015, che nel leader cubano un ecologista fortemente impegnato. Rimase in silenzio, pubblicamente e privatamente, sulle sofferenze e le persecuzioni dei fedeli cattolici a Cuba sotto il comunismo. L’orrendo dispotismo di Castro e le restrizioni draconiane alla Chiesa cattolica romana non influenzarono il giudizio del Papa sull’uomo o sul regime. In Venezuela, i vescovi chiesero ripetutamente al Papa latinoamericano di parlare contro l’emergente dispotismo di sinistra anti-cristiano a Caracas; il meglio che il Papa ha saputo fare era chiedere “dialogo” tra una società civile oppressa e mutilata e un regime il cui “socialismo” sembrava ancora stimare.

Carlos Eire, il grande studioso della Riforma dell’Università di Yale, ha descritto questo modello come «l’opzione preferenziale di Francesco per la dittatura». Brutalmente onesto ma non iperbolico, Eire era lui stesso un bambino “Pedro Pan” (un bambino rifugiato [negli Stati Uniti] dalla Cuba di Castro). Questo modello favorevole ai regimi dittatoriali non si limita allo stesso Francesco, ma include molti dei suoi più stretti collaboratori. Il capo della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, il vescovo argentino Marcelo Sonchez Sorondo, amico intimo e accolito del Papa, ha assurdamente dichiarato che la Repubblica Popolare Cinese è il paese che meglio incarna la Dottrina sociale cattolica. Che cosa avrebbe fatto papa Leone XIII, l’iniziatore della Dottrina sociale cattolica e appassionato critico del collettivismo socialista, con i residui del maoismo in Cina?

Il politicamente corretto – e l’ostilità verso l’Occidente in quanto l’Occidente – aiutano a capire molto di quanto questo pontificato fa e dice. Si tratta di un papato che è rimasto in gran parte in silenzio sulla decimazione delle antiche comunità cristiane nel Medio Oriente arabo e islamico. Il Corano, insiste Papa Francesco, è incompatibile con «ogni forma di violenza». Questo è falso, e tutti lo sanno. Dove il vescovo Sonchez Sorondo vede la giustizia sociale e l’applicazione della Dottrina sociale in Cina, altri, come ha osservato Robert Royal, presidente del Faith&Reason Institute e direttore del giornale The Catholic Thing, vedono intensificata la persecuzione dei cattolici e di altri credenti religiosi, danni ambientali senza precedenti dall’est all’ovest, una crudele politica di aborto forzato, sorveglianza orwelliana dei dissidenti e di ogni espressione di indipendenza nella società civile, e l’internamento nei campi di concentramento di oltre un milione di uiguri musulmani nel nord-ovest. Come Royal giustamente osserva, i giudizi sbagliati del Vaticano sono fin troppo comuni: «Il Vaticano persegue attualmente una costante linea di critica anti-occidentale, contro la presunta xenofobia, le economie rapaci e i “peccati” ambientali sia dell’Europa che del Nord America».

Royal si riferisce a questi cliché ideologici giovanili, e a politiche prevedibili, come manifestazioni di «progressismo semplicistico». Questo è un Vaticano che confonde la verità di Cristo con una “religione dell’umanità” che ha sostituito la religione che afferma la trascendenza. Il pensiero politico sobrio non è molto evidente, né un minimo di realismo e moderazione negli affari umani. L’amore e la carità sono stati irrimediabilmente politicizzati, confusi con un sentimentalismo che giustifica ogni eccesso di svolta in nome di un’“umanità” perfezionata. Quando ci si schiera con un regime ateo e totalitario che mette in pericolo i figli di Dio, si è entrati in un territorio moralmente e teologicamente turbato.

Qual è la base di questa costante evacuazione dall’ortodossia cristiana classica, oltre che dal buon senso morale e politico? Per cominciare, Francesco e la sua corte sono partigiani di un “nuovo cristianesimo” che non presta sufficiente attenzione all’orizzonte che i cristiani chiamano “eternità”.

La Chiesa sta letteralmente diventando secolare, ossessionata da questioni politiche e sociali ben al di là della sua competenza. Come suggerisce il coraggioso vescovo kazakistano mons. Athanasius Schneider nel suo nuovo libro Christus Vincit. Christ’s Triumph over the Darkness of the Age (Christus Vincit. Il trionfo di Cristo sull’oscurità di quest’epoca), Papa Francesco si occupa principalmente di questioni secolari: il cambiamento climatico, l’ambiente (fino al corretto suo della plastica), l’immigrazione, e lo fa «in modo esagerato». Questo «attivismo frenetico», come lo chiama mons. Schneider, fa dimenticare l’impegno per la vita dell’anima e le «realtà soprannaturali» della grazia, della preghiera e della penitenza.

Questo Papa proclama misericordia senza una concomitante enfasi sulla necessità del pentimento, o un riorientamento fondamentale dell’anima. Confrontate questo con il primo dei Vangeli, quello di Marco, in cui Gesù chiama ripetutamente al pentimento. Non c’è Regno di Dio senza la svolta penitenziale dell’anima alla grazia e alla bontà di Dio. Né Francesco sembra credere nella punizione, temporale o eterna, per gravi crimini e peccati. Dopo aver modificato unilateralmente il catechismo cattolico per dichiarare la pena capitale barbara e illecita, ora suggerisce che l’ergastolo è inaccettabile anche dal punto di vista della Chiesa. Ha una fiducia apparentemente utopica nella riabilitazione del reo e nessun vero senso del male radicale. La sua tendenza è quella di identificare il Magistero della Chiesa – ovvero il suo insegnamento stabile e immutabile che risale al tempo degli Apostoli – , con i suoi capricci e le sue preferenze ideologiche. E potrebbe essere proprio questo l’aspetto più grave e preoccupante del suo pontificato.

All’incontro annuale dei vescovi americani a Baltimora, lo scorso novembre, il nunzio apostolico, l’arcivescovo Christophe Pierre, ha rimproverato i vescovi americani per non essere salpati a bordo del “magistero di papa Francesco”. Ma non è così che parlano i cattolici fedeli. Questa è la prova di un ultramontanismo fuori luogo, che permette ad un solo papa di alterare l’insegnamento perenne della Chiesa in nome del “cambiamento” o dell’adattamento allo Zeitgeist (spirito del tempo), in evidente disprezzo di ciò che è permanente nella legge morale naturale. Come suggerisce il vescovo Schneider, c’è qualcosa di unilaterale nel pensiero di Papa Francesco sul crimine e sulla punizione e sul carattere presumibilmente immorale e illecito della pena di morte. Francesco prende quasi con noncuranza quella che C.S. Lewis definì una «teoria umanitaria della punizione» che, continua mons. Schneider, «principalmente assolutizza, implicitamente o esplicitamente, la vita corporale e temporale dell’uomo». C’è una cecità al potere del male, al peccato originale, che forma questo umanitarismo dall’inizio alla fine. Si parla poco o niente della necessità di penitenza e di espiazione per i peccati e i crimini, o addirittura di un riconoscimento che i “crimini mostruosi” devono essere puniti da comunità politiche dignitose che desiderano salvaguardare il bene comune.

Come il vescovo Schneider ha rilevato con piena ragione, la punizione temporale ha talvolta dato luogo al pentimento ed ad una radicale trasformazione di anime: ne è una prova la testimonianza del “buon ladrone”, crocifisso accanto a Gesù sul Golgata, che ha trovato l’espiazione – dunque la vita eterna – sull’orlo della sua esecuzione. Santa Teresa di Lisieux non partecipò ai raduni di protesta per chiedere l’abolizione della pena di morte, piuttosto pregava che i criminali incalliti affinché, sull’orlo dell’esecuzione, rispondessero al dono della grazia e si pentissero davanti a Dio misericordioso, nostro padre e nostro amico. Questa comprensione del peccato, del crimine, del pentimento e della responsabilità è estranea a questo papato e all’ala progressista della Chiesa cattolica, che indulge in un sentimentalismo umanitario che troppo spesso passa per il cristianesimo.

In materia di guerra e pace, di immigrazione e di difesa dei confini, Francesco è stato guidato dallo stesso moralismo umanitario che ha ispirato il suo “attivismo frenetico” su altri fronti.

In un libro-intervista del 2018 al sociologo francese di sinistra Dominique Wolton, Francesco respinge leggermente la ricca tradizione cattolica di riflessione etica e prudenziale su questioni di guerra e di pace. Nel tono di una persona senza responsabilità politiche, e senza senso di ciò che potrebbe essere, egli dichiara che non esiste una guerra giusta. Se intende dire che nessuna guerra è semplicemente o assolutamente giusta, ribadisce l’antica saggezza cristiana sull’impatto del peccato originale anche sulle comunità politiche che cercano di difendere il patrimonio civile dell’umanità. Ma questo Papa, abbandonando un giudizio equo o equilibrato, dichiara che solo con la pace «si vince tutto». Egli trascura il fatto che la “pace” può anche essere un veicolo di menzogna, oppressione, ingiustizia, violenza e genocidio, come quello offerto dai regimi totalitari. Come Sostenne di Vladimir Solovyov nel suo I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo (1900), ci può essere una “pace malvagia” e una guerra buona o legittima (e viceversa, ovviamente). La concezione di Francesco non assomiglia in alcun modo alla “tranquillità dell’ordine” così riccamente articolata nel Libro 19 della Città di Dio di Sant’Agostino. Ah, se solo mostrasse più riguardo alla ricca saggezza teologica e filosofica del passato!

Francesco sembra credere, come i leninisti di un tempo, che le guerre siano causate solo da capitalisti rapaci, scatenando “missioni” di potere, di influenza, di gloria o di fama, e mai da ideologi totalitari. Solo il più ingenuo progressista o umanitario poteva vedere il «denaro»«lo sterco di Satana», come Francesco lo definisce piuttosto coloratamente nelle sue conversazioni con Wolton – come «la più grande minaccia per la pace nel mondo di oggi». Ahimè, tali riflessioni suonano più come le dichiarazioni di un progressista secolare che le riflessioni considerate di un uomo di una Chiesa «che conosce la verità sull’uomo», per citare il grande Pascal.

Il silenzio della maggior parte dei vescovi della Chiesa cattolica – su quest’imbarazzante e distruttiva mistura di progressismo, di attivismo riflessivo e di licenziamento non casuale della più profonda saggezza della Chiesa – è sconcertante.

Ci sono delle eccezioni. Come ha più volte sottolineato il card. Gerhard Muller, ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, la Chiesa deve recuperare la chiarezza della vera teologia e della legge morale naturale. «Il rinnovamento spirituale e morale in Cristo e non la de-cristianizzazione della Chiesa o la sua trasformazione in una ONG» indicherà la via da seguire. Se la Chiesa non è altro che una ONG umanitaria, non c’è nulla di santo o duraturo, dunque sarà spazzata via dai vari venti ideologici.

Nel suo discorso natalizio alla fine del 2019, Francis si è scagliato contro i tradizionalisti “rigidi” che non accetteranno il “cambiamento”. Ha anche citato il defunto cardinale Carlo Maria Martini di Milano, che poco prima della sua morte, nel 2012, disse che la Chiesa cattolica era «200 anni indietro rispetto ai tempi». Ci si deve chiedere: quando il livello ideologico moralmente e intellettualmente vuoto del progresso e della reazione ha sostituito le durevoli distinzioni tra verità e menzogna e tra bene e male? La Chiesa non ha lo scopo di vedere e sostenere il «senza tempo nel tempo», come ha detto così eloquentemente T. S. Eliot?

Il cambiamento legittimo presuppone una profonda fedeltà alla verità duratura. Ma i progressisti cattolici e gli umanitari hanno storicizzato la fede. Soccombono a ciò che il filosofo politico cattolico francese Pierre Manent chiama «l’autorità del momento presente». La verità stessa si evolve in questa triste emasculazione della fede dei nostri padri. L’amore e la carità assumono una dimensione del tutto orizzontale, e le verità vecchie e durature cedono il posto allo “spirito del tempo”. Il bene è storicizzato, diventando una cosa nuova in ogni epoca, se non in ogni generazione. Cristiani progressisti del tipo che dominano la Curia Romana si sono fissati su un’imminente trasformazione della natura umana e del mondo. Ci troviamo di fronte a una scelta esistenziale del primo ordine: una scelta tra quelle che Eliot ha chiamato le “cose permanenti”, e un facile appello ideologico a “ciò che sta accadendo”. Si spera e si prega che il Santo Padre venga a vedere ciò che è in gioco quando mira a “cambiare” la Chiesa così rapidamente e precipitosamente.

Quando il capo dell’ordine gesuita, il progressista Arturo Sosa, S.J., dice a un intervistatore che nessuno aveva un registratore quando Gesù Cristo ha esposto i suoi insegnamenti esigenti sul matrimonio e sul divorzio, abbiamo a che fare con un disprezzo aperto per la veridicità duratura della Divina Rivelazione, la Parola di Dio. Nulla di tutto questo ha a che fare con il discernimento pastorale, sia chiaro, o lo “sviluppo della dottrina” di san Giovanni Henry Newman. La dottrina si sviluppa, ma non cambia in modo decisivo. Il carattere trinitario della Divinità è ampiamente presente nel Nuovo Testamento ed è stato persino prefigurato nell’Antico. Ma la dottrina ha raggiunto la sua articolazione più completa e completa al Concilio di Nicea del 325. Lo sviluppo della dottrina non deve nulla a una negazione storicista della verità immutabile. Questa è una distorsione della fede cattolica e del significato del famoso concetto di Newman.

Recentemente, in risposta all’ultimo appello di Papa Francesco per il “cambiamento” e l’ammonimento contro la “rigidità”, la sua mal consigliata esortazione della Chiesa cattolica a raggiungere il mondo moderno, George Weigel ha posto una pertinente domanda: Che cosa dovremmo recuperare? La dittatura del relativismo, il culto dell’imperiale io autonomo, una cultura “che distoglie il sesso dall’amore e dalla responsabilità”? Questo è ciò Jacques Maritain aveva già definito “l’inginocchiarsi davanti al mondo” ne Il contadino della Garonna, il suo lamento profetico del 1966, nei giorni successivi al Vaticano II, quando una grande opportunità di rinnovamento spirituale, teologico e culturale era già degenerato in una capitolazione al nichilismo che era giunta a definire la modernità nelle sue forme meno sobrie ed estreme: l’emancipazione all’ingrosso dalla tradizione, dalla cultura, dalla legge morale e dall’autorità nella Chiesa. Ma Weigel ha terminato la sua riflessione, pubblicata su First Things, con un’ottima osservazione su cui vale la pena riflettere.

Il vecchio secolarismo di Albert Camus, per usare l’esempio di Weigel, era decente, umano e lottava per riaffermare la moderazione sia contro il fanatismo ideologico che la deriva –  non così lenta – della cultura occidentale in un nichilismo morale debilitante. Weigel ha giustamente aggiunto, tuttavia, che il nuovo secolarismo-cum-nichililismo, alzò la sua brutta testa nella metà degli anni ‘60, non aveva altro che disprezzo per la verità trascendente: «Il nuovo secolarismo era amareggiato, aggressivo e ristretto», e «ora è fermamente impegnato a cacciare la Chiesa cattolica dalla vita pubblica in tutto il mondo occidentale». Questo è lo spirito del tempo, un nichilismo a mala pena nascosto, con il quale la rivoluzione francescana pensa erroneamente di poter fare la sua pace. Ad un certo punto, papa Francesco, figlio della Chiesa, dovrà intenderlo.

Durante il deplorevole sinodo amazzonico, tenutosi nell’ottobre 2019, si sono svolte genuflessioni davanti a una statua che rappresenta una dea della fertilità inca (la cosiddetta Pachamama) nelle sacre chiese di Roma. In questo, il cardinale Muller ha visto l’idolatria e una profanazione satanica. Da parte sua, papa Francesco non può vedere altro che solidarietà ecologica e rispetto per le altre “culture”. Ogni tanto, Francesco fa un chiaro appello all’evangelizzazione. Ma allo stesso tempo, egli mette in guardia contro gli sforzi di conversione o di proselitismo. Si sospetta che l’evangelizzazione che ha in mente sia una vicenda in gran parte secolare al servizio dei “valori umanitari” che definiscono il nuovo cristianesimo. In quale altro modo si può spiegare l’appello del Papa a favore di una “Alleanza globale per l’educazione” per promuovere i valori umanitari e l’attivismo che culmineranno in un vertice a Roma il 14 maggio 2020? Questo ha a che fare, più che con la proposta cristiana, con un impensabile progressismo alla moda. Non dubito dell’integrità del Santo Pontefice. Ma lui è un mezzo-umanitarista che confonde la fede cristiana con una religione secolare dell’umanità. Un fedele cattolico è obbligato a sottolinearlo per amore della verità e del bene della Chiesa.

Mentre la Chiesa rimane in gran parte in silenzio (nelle parole del papa emerito Benedetto XVI) sui “crimini e peccati che gridano al Cielo” – il terribile abuso sessuale clericale e episcopale e le orribili insabbiature che seguirono – Francesco mette gran parte delle sue energie in promuovere l’attivismo ecologico (con un bordo apocalittico) e un numero qualsiasi di cause progressiste semplicistiche. A volte si sente la voce di un funzionario politicamente incaricato delle Nazioni Unite più di quella del Vicario di Cristo sulla terra. La Chiesa istituzionale, cioè i suoi vescovi e le loro conferenze, risponde a questa rivoluzione nella Chiesa con silenzio, passività e con quelle abitudini burocratiche e autoprotettive che hanno portato la Chiesa in crisi in primo luogo. La crisi è più profonda che mai.

La religione dell’umanità, accompagnata dalla dittatura del relativismo, sono profondamente radicate nella Chiesa di Roma – e ai suoi più alti livelli. La Provvidenza può salvare la Chiesa dal diventare un ramo della religione dell’umanità nella preghiera, ma solo se i cattolici fedeli diventeranno annunziatori della Verità del nostro Dio amorevole e provvidente.

San Tommaso d’Aquino ci ricorda, nella Questione n. 91 della Somma Teologica, che la prudenza umana e la virtù sono mezzi cruciali attraverso i quali la Divina Provvidenza fa il suo lavoro. Passività e silenzio prima sugli eccessi della rivoluzione francescana, prima della trasformazione del cristianesimo cattolico in un nuovo cristianesimo umanitario (già proclamato e delineato da Saint-Simon nel Nouveau Christianisme nel 1825), sarà la fine della Chiesa cattolica come l’abbiamo conosciuta. Quando il “momento presente” diventa l’unica autorità, di fatto si sta ripudiando la Signoria di Cristo per il Padrone del mondo (il titolo di un romanzo distopico sull’Anticristo che Papa Francesco, giustamente, ammira). Questo è esattamente ciò che è in gioco nello sforzo di creare una “nuova” Chiesa che brucia i ponti con il passato in quanto orientata da un’infondata nozione di progresso morale.

Il cardinale Robert Sarah, vescovo africano che dirige la Congregazione per il culto divino, indica la strada per rimanere fedeli testimoni in questo momento di difficoltà. Non attacca il Papa per nome e non smette mai di proclamare la sua (genuina) devozione filiale al Romano Pontefice. Ma ad ogni passo, fedele all’eredità apostolica, espone l’inganno del nuovo cristianesimo. In La sera si avvicina e il giorno volge al termine, una raccolta delle sue conversazioni con il giornalista francese Nicolas Diat, pubblicato nel 2019, Sarah invoca in modo eloquente e fedele per una testimonianza cristiana in cui la preghiera non viene divorata attivismo sconsiderato, in cui la vera carità non è confusa con l’ideologia umanitaria, in cui la liturgia evoca la sacra presenza di Nostro Signore Gesù Cristo, e in cui la teologia non si trasforma in politica (sto parafrasando un passaggio cruciale nel libro). Sarah è nata nella Guinea di Sékou Touré, così ha sperimentato in prima persona il fanatismo marxista-leninista. Ha visto l’egualitarismo dottrinario all’opera, la persecuzione atea della religione, le devastazioni crudeli e sadiche compiute dalla polizia governativa. Egli respinge fermamente l’”opzione preferenziale per la dittatura [di sinistra]” che ha tristemente segnato il pontificato francescano, così come la sua deplorevole indifferenza verso il “fanatismo islamista, che uccide per stabilire un regno di terrore”. Sarah ama la libertà politica radicata nella responsabilità personale e “l’auto-limitazione gioiosa” (si può riconoscere l’influenza di Aleksandr Solzhenitsyn, che Sarah cita nel libro tanto quanto cita Benedetto XVI.)

Invece d’inginocchiarsi davanti al mondo e soccombere al fascino di una modernità tardiva che non ha spazio per elevare la coscienza e legare la verità, il cardinale Sarah invita la Chiesa a testimoniare senza paura la verità sull’uomo. Deve testimoniare, con zelo evangelico e fedeltà alla legge morale naturale, contro le terribili perversioni che sono la teoria del gender e il transumanesimo. Sono il «volto pernicioso» del totalitarismo nel XXI secolo poiché anche loro «sperano di mutilare e controllare la [natura umana]». La Chiesa dovrebbe ora avere una missione fondamentale: difendere la natura umana, la responsabilità morale e una coscienza informata dalla verità naturale e divina (non la perniciosa auto-volontà) come preziosi doni che provengono dal Signore. Sarah lo dice benissimo: gli uomini di buona volontà risponderebbero con entusiasmo e gratitudine a uno «splendido atto di coraggio della Chiesa» per recuperare le vere fonti della libertà umana, della dignità e della responsabilità. Senza un tale atto di coraggio, i progressisti condurranno la Chiesa di Cristo lungo un cammino di graduale rinuncia a tutto ciò che definisce la Chiesa cristiana come veicolo della verità divina, della legge morale e della fedeltà liturgica al culto dell’Altissimo. E come sostiene in un nuovo libro, Dal profondo del nostro cuore, scritto con il contributo di Benedetto XVI, il nuovo cristianesimo rifiuta l’autentica e fedele comprensione del sacerdozio celibe, del sacerdozio veramente santificato da Dio.

Diventando stridula, dogmatica e moralista praticante di una religione politicamente corretta dell’umanità, la Chiesa segue la via della perdizione. Il filosofo politico Leo Strauss, parlando nel 1964 all’Università di Detroit, un’istituzione gesuita, ha detto che la Chiesa cattolica romana è l’ultimo corpo o istituzione spirituale rimasta ad apprezzare veramente tutte le insidie di un progetto moderno che apertamente e consapevolmente ha rifiutato il diritto naturale, nel senso classico e cristiano dell’espressione. Strauss fece quest’osservazione proprio nel momento in cui elementi importanti all’interno della Chiesa stavano soccombendo alla modernità meno saggia, meno sobria, meno ammirevole. Questo è ciò che il filosofo politico Eric Voegelin ha giustamente chiamato «modernità senza moderazione».

Per le generazioni future, la Chiesa cattolica porterà la vergogna della sua capitolazione davanti a un regime totalitario come quello di Pechino, un regime che esige fedeltà al potere statale e all’ideologia comunista prima della fedeltà alla grazia salvifica di Cristo. Uno stato ateo che adesso controlla essenzialmente tutte le nomine episcopali in Cina. I sacrifici della Chiesa sotterranea, i cui membri sono rimasti fedeli a Roma dal 1949, non sono apparentemente di grande interesse per il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, e papa Francesco. E non bisogna sottovalutare le simpatie ideologiche per la tirannia cinese che predominano in alcuni ambienti intorno al papa argentino. Stanno facendo gli stessi errori, se non addirittura peggiori, della politica vaticana di pacificazione dei regimi comunisti dell’Europa orientale (la cosiddetta Ostpolitik degli anni ‘60 e ‘70), dando prova di non aver imparato la lezione. Come sottolinea il vescovo Schneider, il grande cardinale ungherese Jozsef Mindszenty, che si oppose fermamente alle politiche del Vaticano nei confronti del regime comunista del suo paese e fu sommariamente licenziato da papa Paolo VI, è stato recentemente dichiarato degno di venerazione per il per aver “esercitato eroicamente le virtù cristiane” nel testimoniare la fede, lottando contro il totalitarismo comunista. Nessuno a Roma può collegare i puntini e vedere che la storia si ripete?

Una preferenza per le dittature di sinistra non è semplicemente la prova di un cambiamento, in un papato ossessionato dal cambiamento, ma un segno di folle corruzione morale, in parte machiavellico e in parte ideologico, nelle alte sfere della Chiesa. Questo momento richiede fedeltà alle virtù morali e teologiche, fedele adesione al Magistero, inteso pienamente in senso cattolico, con un fermo rifiuto della sostituzione storicizzata e politicamente corretta del Magistero – che è evidente in alcuni cerchi curiali. E dobbiamo difendere senza paura i nostri fratelli nella fede che continuano a soffrire sotto la violenza e la tirannia islamista e comunista. Dobbiamo sostenere il vero cattolicesimo, non una strappalacrime religione dell’umanità, che vuole sostituire la fede dei martiri. Speriamo che Papa Francesco capisca necessità di sostenere l’autentica continuità nella Chiesa – fedeltà alla sua vecchia saggezza – e non di inseguire il cambiamento per il cambiamento. Questa è una speranza pienamente in accordo con il rispetto filiale che i fedeli cattolici devono al Santo Padre.

Qui la Fonte originale, da una traduzione del sito: https://cronicasdepapafrancisco.com/

 

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