Attacco a Wojtyla e a Ratzinger. La vendetta dei gesuiti quarant’anni dopo.

I gesuiti di Pedro Arrupe si arrancarono il “diritto” di applicare il Concilio Vaticano II — il suo “spirito” — e nonostante i continui richiami di quattro papi (Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI) hanno continuato su quella diabolica strada. Adesso che sul Trono di Pietro siede uno di loro, non hanno più freni.

È stato sottoposto all’attenzione della nostra redazione un libro recentemente pubblicato nel nostro Paese: s’intitola «Il mio caso non è chiuso». Conversazioni con Jacques Dupuis (EMI, 11 aprile 2019, 30€), il cui autore è il giornalista americano Gerard O’Connell, corrispondente presso la Santa Sede del mensile gesuita America.

Non è nostra intenzione fare pubblicità a tale opera, ma, nostro malgrado, stiamo costretti a parlarne, data l’importanza degli argomenti esposti.

Ma di che cosa si tratta esattamente?

Jacques Dupuis

Il libro non è altro che il resoconto fedele delle conversazioni – come dice lo stesso titolo – che il vaticanista americano ha avuto con il teologo Jacques Dupuis, poco prima della morte di questi, avvenuta nel 2004.

Chi è questo teologo? È un gesuita belga il cui “caso” fece molto scalpore negli anni ’90.

Dupuis insegnò nell’università Gregoriana, quella retta proprio dalla Compagnia non si sa più di quale Gesù, fino al 17 ottobre del 1988, quando la Congregazione per la Dottrina della Fede lo sollevò dai suoi incarichi a causa delle sue «opinioni pericolose», nonché dei suoi «gravi errori» e delle sue «ambiguità dottrinali».

Questo gesuita belga, infatti, era un fervente sostenitore del sincretismo religioso. I suoi libri più famosi, Gesù Cristo incontro alle religioni (Cittadella, 1992) e Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso (Queriniana, 1997), ebbero un grande successo in tutto il mondo e furono tradotti in varie lingue.

In sintesi, Dupuis che cosa sosteneva?

Diciamo che egli è stato il “pioniere” del Documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune – firmato ad Abu Dabhi dal Grande Imam e addirittura da un Vicario di Cristo, l’attuale pontefice Francesco, confratello di Dupuis – secondo cui «il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani»[1]. Quest’espressione è inaccettabile[2], perché si tratta di una vera e propria eresia[3], a cui il confratello vestito di bianco di Dupuis non ha voluto rettificare, anzi ha, come si suol dire, “rincarato la dose”[4].

All’epoca di Dupuis – solo 30 anni fa! – queste affermazioni ovviamente erano inaccettabili per la Santa Sede. Intervennero l’allora generale della Compagnia, l’olandese padre Peter Hans Kolvenbach[5] (1928-2016), e padre Giuseppe De Rosa (1921-2011) – progressisti ma fedeli alle direttive del Papa – che stroncò in modo particolare il libro Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso sulle colonne de La Civiltà Cattolica.

Dato che Dupuis continuava a perseverare nell’eresia, dovette intervenire la Congregazione per la Dottrina della Fede. Nonostante i continui richiami, sia privati che pubblici[6] – in particolare nelle persone del prefetto, l’allora card. Joseph Ratzinger, e i suoi collaboratori, i futuri cardinali Bertone e Amato, i quali hanno sempre agito con l’approvazione di papa Giovanni Paolo II –, il gesuita belga non ha mai voluto ritrattare, anzi ha continuato fino alla fine a sostenere l’ortodossia delle sue tesi, in un suo libro pubblicato postumo[7].

Ci siamo chiesti per quali motivi i gesuiti abbiano deciso di “rispolverare” la figura di questo loro confratello che, salvo pentimento in extremis che solo Dio può sapere, ha perseverato diabolicamente nell’errore.

Cercheremo di elencare i motivi più importanti. Ammettiamo che si tratta di nostre considerazioni personali, ma abbiamo diversi indizi – e diverse prove – che le sostengono.

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Gerard O’Connell

Cominciamo ricordando, tra l’altro, che Gerard O’Connell, l’autore di questo libro-intervista su Dupuis, oltre che essere uno stipendiato dei gesuiti, è anche uno dei “cortigiani” di Casa Santa Marta, essendo il marito di Elisabetta Piqué, biografa e conoscente di lunga data di papa Francesco. È raro che questi coniugi scrivano qualcosa senza informare o avere l’approvazione del Gesuita vestito di bianco[8].

Uno dei motivi, com’è facile intuire, è quello di rilanciare il pluralismo religioso, fondamentale per papa Francesco, sostenuto già nel 2013 con la famosa frase: «Io credo in Dio. Non in un Dio cattolico, non esiste un Dio cattolico, esiste Dio»[9].

Con un altro motivo, il papa regnante prenderà, come si suol dire, “due piccioni con una fava”: proseguire lo smantellamento dell’ex Sant’Uffizio[10], per secoli il baluardo della difesa della Fede, e minare le figure dei suoi immediati predecessori Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, molto amati dai fedeli cattolici, a cui rispettivi magisteri fanno ancora riferimento. In che modo?

In queste conversazioni, Dupuis attacca l’allora card. Ratzinger e i suoi collaboratori (Bertone, Amato, ecc.) di «essere incapaci di cogliere la verità della sua proposta»[11], oltre che lanciare loro l’accusa ignobile – indirettamente anche a Giovanni Paolo II – di essere la causa della sua morte.

Altrettanto ignobilmente, O’Connell, sostiene di raccontare, ricavando da documenti vaticani segreti[12], «le modalità dei processi dottrinali sotto Giovanni Paolo II e il cardinale Joseph Ratzinger»[13] che «Jacques Dupuis ha vissuto sulla sua pelle, fino alle estreme conseguenze (lo stress del processo vaticano gli ha causato scompensi fisici che ne hanno causato la morte), l’anonima durezza dell’inquisizione ecclesiastica: delazioni, indagini segrete, accuse poi ritrattate, terra bruciata intorno, continui sospetti»[14].

Consentiteci l’ironia, ma sembra di leggere un sunto de Il nome della rosa[15]!

E poi, domandiamo, O’Connell da chi avuto questi documenti segreti, dall’attuale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il gesuita Ladaria? Per chi non lo sapesse, lo spagnolo Ladaria è un “bergoglioso” della prima ora, e nel 2014 partecipò ad a convegno in onore dell’eresiarca gesuita Karl Rahner.

Qualcuno riesce veramente ad immaginare Wojtyla e Ratzinger come degli spietati torturati psicologici?

Semmai, si può e si deve fare loro l’accusa opposta, di non essere stati abbastanza intransigenti nel condannare i gesuiti come Dupuis, non avendo avuto il coraggio di sopprimere definitivamente la Compagnia di chissà quale Gesù, diventata la diabolica agit-prop di tutte le eresie[16], quando ne hanno avuto l’occasione[17].

Non possiamo lasciar passare la propaganda di Dupuis come una specie di “martire bianco”, quando invece i veri martiri, come quelli trucidati in Sri Lanka durante la Pasqua di quest’anno[18] – proprio dai seguaci delle religioni tanto care a questo gesuita belga – vengono misconosciuti dall’attuale Successore di Pietro[19], un altro gesuita, ma che veste di bianco.

È vero che Dupuis affermava che «Gesù Cristo è stato l’unica passione della mia vita», ma questa frasetta ad affetto, da telenovelas latino-americana, sarebbe stata sottoscritta anche da tutti gli eresiarchi, dal presbitero Ario (256-336) al monaco Martin Lutero[20] (1483-1546).

Del resto, di quale Gesù Cristo si sta parlando? Forse quello del blasfemo musical Jesus Christ Superstar, la cui trasposizione cinematografica è stata influenzata proprio da alcuni gesuiti americani[21]?

Come se non bastasse, il “caso Dupuis” servirà al Gesuita vestito di bianco anche per avere maggiore autorevolezza nello smantellamento della Congregazione per la Dottrina della Fede, di cui si è parlato proprio in questi giorni[22], e da noi anticipato il 18 febbraio del 2018. In quella data, infatti, pubblicammo una lettera di una dipendente del Vicariato[23], inviataci nel maggio del 2017, in cui, tra le altre notizie – in seguito tutte verificatesi – veniva comunicato che papa Francesco voleva trasformare la Congregazione per la Dottrina della Fede in una specie di congregazione per “la pastorale della fede”.

Forse qualcuno ci accuserà di complottismo. Ebbene, rispondiamo con assoluta certezza che un complotto contra la Chiesa cattolica esiste ed è stato elaborato dal Diavolo, il grande nemico della nostra salvezza, di cui i gesuiti – inconsapevolmente? forse sì, forse no… chi lo sa! – sono diventati i migliori alleati.

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NOTE

[1] Il grassetto è nostro.

[2] Il pluralismo e la diversità di religione sono voluti da Dio nella sua sapienza? (D. Alfredo Morselli, Cooperatores-Veritatis.org, 17-02-2019)

[3] Gravi preoccupazioni per il documento di Abu Dhabi firmato da Papa Francesco (Josef Seifert, 12-02-2019).

[4] Bergoglio cambia anche il paradigma della volontà permissiva (Fabrizio Giudici, Chiesa e post-concilio, 03-04-2019).

Bergoglio riscrive la Volontà permissiva di Dio? (Video-catechesi di Cooperatores-Veritatis.org, 08-04-2019).

[5] Una “curiosità” molto importante. Padre Kolvenbach, essendo il superiore diretto di Jorge Mario Bergoglio, fu chiamato dalla Congregazione per i vescovi a redigere una relazione sull’idoneità all’episcopato del confratello argentino. La risposta fu negativa. Bergoglio, per Kolvenbach, oltre che carente dottrinalmente, aveva una personalità doppia, prepotente, e adoperava spesso un linguaggio volgare. Dall’elezione di Bergoglio al Trono di Pietro, non si riesce più a trovare questa relazione negli archivi della Compagnia (cfr. Il Papa dittatore di Marcantonio Colonna). Ma papa Giovanni Paolo II, alla fine, nominò vescovo Bergoglio, cedendo alle insistenze e alle assicurazioni dell’allora arcivescovo di Buenos Aries, il cardinale Antonio Quarracino (1923-1998).

[6] Notificazione a proposito del libro Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso di P. Jacques Dupuis SJ (Congregazione per la Dottrina della Fede, 24-01-2001)

[7] Perché non sono eretico. Teologia del pluralismo religioso: le accuse, la mia difesa (Jacques Dupuis, SJ, EMI, 2014).

[8] Sul rapporto fra papa Francesco e i coniugi O’Connell-Piqué abbiamo già brevemente accennato in occasione dell’uscita di un altro libro di O’Connell dedicato al conclave del 2013 (Al conclave del 2013 lo Spirito Santo trovò il papa già eletto?, 14-04-2019)

[9] “Così cambierò la Chiesa” (Papa Francesco a colloquio con Eugenio Scalfari, la Repubblica, 01-10-2013).

[10] Fu papa Paolo VI, quando riformò la Curia romana negli anni ’60, a dimezzare i poteri del Sant’Uffizio, che prese l’attuale nome di Congregazione per la Dottrina della Fede. Il card. Giuseppe Siri ha raccontato che, negli ultimi anni, vedendo la deriva dottrinale del clero, Paolo VI gli confidò che avrebbe voluto rifare «il Sant’Uffizio come prima. Anzi, peggio!» (cfr. Il papa non eletto. Giuseppe Siri, cardinale di Santa Romana Chiesa, di Benny Lai, Laterza, 1993).

[11] «Il mio caso non è chiuso». Conversazioni con Jacques Dupuis (quarta di copertina).

[12] Quando si vuol dimostrare tendenziosamente una teoria prefabbricata, si dice sempre di avere a disposizione documenti segreti. Ricordiamo il caso, nel 2007, di un libro che uno storico ebreo agnostico, Luzzatto, scrisse su Padre Pio per cercare di screditarne la persona e la santità. Di fronte alle critiche, Luzzatto non argomentò, ma si difese dicendo che lui portava documenti inediti e segreti dell’Archivio Segreto Vaticano.

[13] «Il mio caso non è chiuso». Conversazioni con Jacques Dupuis (quarta di copertina).

[14] Ibidem.

[15]Il nome della rosa”? Un romanzo ideologico! (Corrado Gnerre, Il Settimanale di Padre Pio, 17-03-2019).

[16] Il sito Cooperatores-Veritatis.org ha dedicato un dossier in tre parte (uno, due e tre) sulla deriva della Compagnia, arricchendolo con vari testi ed editoriali.

[17] Il “caso gesuiti”. Una riunione segreta in Vaticano (estratto del libro I Gesuiti e il tradimento della Chiesa di Roma di padre Malachi Martini, riportato dal sito Cooperatores-Veritatis.org).

[18] Pasqua di sangue in Sri Lanka (ADNCronos, 21-04-2019).

[19] Al termine della Benedizione Urbi et Orbi di Pasqua, papa Francesco ha appena accennato al martirio di questi nostri fratelli nella fede, limitandosi ad esprimere «affettuosa vicinanza alla comunità cristiana» e «e a tutte le vittime di così crudele violenza». Evitando, ovviamente, di rimarcare la matrice anticattolica di questo attentato.

[20] Alle origini della protesta: Lutero (Cooperatores-Veritatis.org, 31-10-2014)

[21] Vedi nota n. 16.

[22] Francesco prepara la nuova Costituzione con il super-dicastero dedicato alla dottrina (Riccardo Cascioli, Il Giornale, 28-04-2019)

[23] Da Roma un grido di dolore… (Lettera firmata).


 

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Il monastero, l¿ashram, compare improvviso nel folto della foresta, lungo il fiume. E sono poche casette coi tetti di frasche attorno a un tempietto di stile indù. «Che cosa mai può venire da Nazareth?», dicevano scuotendo il capo i sommi sacerdoti di Gerusalemme che erano scettici su Gesù. Qui è lo stesso. Che cosa mai può venire da questo minuscolo ashram sperduto nell¿India dravidica? Da questo villaggetto, Tannirpalli, che le carte geografiche nemmeno riportano, così difficile da scovare, 300 miglia a sud di Madras? E invece qui si prepara una rivoluzione mondiale. Di fede, di cultura, d¿umanità.
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A Roma, nella capitale del cattolicesimo, c¿è un cardinale teologo che l¿ha intuita e la teme. E¿ Joseph Ratzinger, il supremo guardiano della retta dottrina della Chiesa, il grande inquisitore che processa e giudica chi la mette in pericolo. E il processo che più gli sta a cuore l¿ha aperto pochi mesi fa contro un teologo gesuita, Jacques Dupuis, che è belga di nome ma indiano di fatto. Le cui tesi hanno preso vita proprio in questo ashram dell¿India profonda.
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L¿allarme rosso, Ratzinger l¿aveva suonato la prima volta in un suo discorso dell¿ottobre 1996 ai vescovi delle Americhe. «Il problema fondamentale della fede dei nostri giorni è divenuto il relativismo», aveva detto. «E quindi la questione fondamentale per la Chiesa diventa la cosiddetta teologia pluralista delle religioni. Da un lato essa è un prodotto tipico del mondo occidentale, ma dall¿altro si pone in contatto con le intuizioni filosofiche e religiose dell¿Asia, soprattutto dell¿India, ed è proprio il legame tra questi due mondi ciò che determina la sua particolare influenza sul momento storico che stiamo vivendo». Già allora Ratzinger aveva esplicitamente preso di mira i capofila di questa corrente teologica: il presbiteriano John Hick, il cattolico Paul Knitter, entrambi americani, l¿altro cattolico Raimundo Panikkar, di padre indiano e madre spagnola, Felix Wilfred, angloindiano, professore all¿università di Madras. Aveva sorvolato su Dupuis, che nel frattempo, dopo trentasei anni d¿insegnamento in India, aveva fatto ritorno a Roma e aveva preso cattedra alla Pontificia università Gregoriana. Ma proprio in quei mesi Dupuis stava ultimando un suo libro sull¿argomento clou, che sarebbe uscito nell¿autunno del 1997, edito dalla Queriniana di Brescia, col titolo ¿Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso¿.
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Niente, allora, faceva presagire la tempesta. Dupuis aveva fama di teologo ortodosso. In Vaticano l¿avevano chiamato a far da consulente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso. Il segretario di questo Consiglio, Michael L. Fitzgerald, ne diceva a tutti un gran bene. Parlando ad Assisi nel decennale dell¿incontro di papa Giovanni Paolo II con i capi delle religioni del mondo, lo presentò come «un teologo cattolico che evita il pluralismo e si oppone con forza allo svuotamento di Cristo». E quando il libro tanto annunciato e atteso finalmente uscì, alla Gregoriana lo benedissero in pompa magna: con Fitzgerald, il rettore dell¿ateneo Giuseppe Pittau, il decano della facoltà di teologia Gerald O¿Collins tutti a complimentarsi con l¿autore. Anche la prima recensione autorevole, apparsa sul quotidiano dei vescovi italiani, ¿Avvenire¿, il 22 novembre 1997, fu entusiastica. La firmava Enzo Bianchi, priore del monastero di Bose.
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Poi però qualcosa cominciò a girare storto. ¿Avvenire¿, il 14 aprile successivo, pubblicò una seconda recensione del libro di Dupuis. Una stroncatura. Ad opera di un teologo milanese ben introdotto in Vaticano, Inos Biffi, nessuna parentela con l¿omonimo cardinale. Sempre in aprile la Congregazione per la dottrina della fede, quella presieduta da Ratzinger, aprì un fascicolo preliminare su Dupuis e il suo libro. E il 10 giugno Ratzinger e gli altri cardinali della Congregazione decisero l¿avvio di un¿indagine in piena regola.
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Tutto sotto segreto, naturalmente. Neppure a Dupuis, l¿indagato, fu detto alcunché. Ma a metà estate, ecco un altro segnale. ¿La Civiltà Cattolica¿, il quindicinale dei gesuiti di Roma, esce con una recensione critica del libro di Dupuis. La critica ha il peso di chi la scrive, l¿anziano e stimato gesuita Giuseppe De Rosa. Ma ha anche il valore aggiunto che ha ogni articolo della ¿Civiltà Cattolica¿: quello d¿essere previamente vidimato in alto loco, dalle massime autorità vaticane. E il finale della recensione è una raffica di capi d¿accusa garbatamente messi in veste di «interrogativi». Anzitutto su Gesù Cristo: «La cristologia di padre Dupuis rende pienamente giustizia ai dati del Nuovo Testamento e della Tradizione?». Poi sulla Chiesa: «E¿ dato il giusto rilievo alla mediazione della Chiesa nell¿opera della salvezza?». Infine sulla necessità di convertire gli infedeli: «Se le altre tradizioni religiose hanno le proprie figure salvifiche, i propri profeti, le proprie sacre scritture, se sono già popolo di Dio e fanno già parte del regno di Dio, perché dovrebbero essere chiamate a divenire discepole di Cristo?».
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Appunto. Perché? Come si vede, la disputa non è bizantina. Se risolta teoricamente in un certo modo, riconoscendo a tutte le religioni pari validità, allora tanto vale sbaraccare Propaganda Fide e richiamare in patria i missionari. E mettere il cuore in pace se in duemila anni l¿Asia, il più popoloso dei continenti, è stato appena scalfito dalle conversioni al cristianesimo. Nel suo libro, Dupuis è lontanissimo dal voler arrivare a questo. Ma il sospetto che le sue tesi prestino il fianco a un disarmo o, peggio, a una disfatta della Chiesa sul fronte missionario sottostà alle imputazioni che gli vengono rivolte. Il 2 ottobre scorso Dupuis è finalmente avvisato d¿essere sotto indagine. Il padre generale dei gesuiti, Peter Hans Kolvenbach, gli trasmette l¿elenco dei punti controversi, stabilito dalla Congregazione per la dottrina della fede. Ha tempo tre mesi per presentare una memoria difensiva. Intanto però ha l¿obbligo di non parlarne con nessuno. Come dire che non deve nemmeno più insegnare, essendo il suo corso alla Gregoriana (l¿ultimo prima del ritiro per età, a 75 anni) attinente ai temi contestati.
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Ed è proprio l¿avviso dell¿abbandono del corso, affisso in bacheca alla Gregoriana, a dar notizia pubblica del processo a Dupuis. Con immediata stura delle polemiche. A difesa dell¿inquisito scende in campo, con un articolo sull¿inglese ¿The Tablet¿, nientemento che il novantaquattrenne cardinale austriaco Franz König. Ma le reazioni più forti vengono dall¿India. L¿arcivescovo di Calcutta, Henry D¿Souza, accusa il Vaticano di voler mettere il bavaglio ai teologi, colpendone uno «stimato per la sua ortodossia» al fine di far tacere tutti, e di prendere di mira soprattutto l¿India. E in effetti hanno le loro ragioni, i dirigenti di Chiesa indiani, per sentirsi più di tutti sotto tiro. Prima dello scoppio del caso Dupuis, i due ultimi condannati dal Sant¿Uffizio appartengono anch¿essi al subcontinente. Il primo è Tissa Balasuriya, un religioso dello Sri Lanka, scomunicato nel 1996 per un suo arruffato libro in cui faceva a pezzi importanti articoli del Credo, poi riammesso nella Chiesa previo pentimento. Il secondo è Anthony De Mello, un gesuita indiano autore di libri fortunatissimi, tuttora venduti in tutto il mondo, condannato post mortem con sentenza del 24 giugno 1998 con l¿accusa d¿aver dissolto Dio, Gesù e la Chiesa cattolica in un gran fumo di religiosità cosmica e vaga.
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Ma la vera ragione è che l¿India è il terreno d¿esperimento di quella ¿nouvelle vague¿ teologica che Ratzinger riconduce al relativismo e considera il pericolo massimo per la Chiesa d¿oggi. Certo, nei secoli passati, quando valeva il principio ¿extra Ecclesiam nulla salus¿, tutto era teoricamente più chiaro. L¿idea che fuori della Chiesa non c¿era salvezza eterna era temperata da rarissime eccezioni nascoste nei misteri di Dio: le eccezioni che consentirono a Dante, ad esempio, di non mettere all¿inferno il Saladino. Ma la durezza del principio cominciò a sgretolarsi con la scoperta delle Americhe. Come si poteva dare per colpevoli e perduti interi popoli che non erano stati mai neppure raggiunti dall¿annuncio cristiano? Il Concilio di Trento escogitò il «battesimo di desiderio», anche inconsapevole, come via di salvezza per i giusti fuori della Chiesa. E quattro secoli dopo, il Concilio Vaticano II ampliò ancora gli spazi di queste vie misteriose di salvezza. Ma sempre vie individuali erano, pura «grazia» di Dio per i singoli. Niente era detto sulle capacità salvatrici delle altre religioni. E niente hanno aggiunto, su questo punto capitale, nemmeno i papi del dopoconcilio, da Paolo VI a Giovanni Paolo II. Solo un documento del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso si è spinto timidamente più in là: «I membri delle altre religioni ricevono la salvezza di Gesù Cristo, anche se non lo riconoscono come salvatore, attraverso la pratica di ciò che è buono nelle loro proprie tradizioni religiose». Questo documento del Pontificio consiglio è del 1991, quando Dupuis ne era consultore.
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Il guaio di Dupuis, nel suo ultimo libro, è di essersi spinto molto più avanti. Il teologo gesuita rifiuta di mettere tutte le religioni alla pari. Tiene fermo che Gesù Cristo è l¿unico «volto umano» in cui Dio si è rivelato in pienezza. Ma riconosce che lo stesso Dio è da sempre presente e operante anche in altre «figure salvifiche» e «vie di salvezza», tutte «convergenti» e «complementari» con quella cristiana. E porta l¿India ad esempio. Non solo nel senso che le religioni indù possono essere l¿ombra imperfetta della suprema Rivelazione cristiana, che tutte illumina e invera. Ma anche nel senso opposto: con la fede indù capace di «scoprire nel cristianesimo nuove profondità».
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Nell¿ashram della sperduta Tannirpalli, nel sud dell¿India, come arriva l¿eco di queste dispute vaticane? Spento. Qui a risuonare forte sono i fatti. Il monastero è cattolico, dei benedettini di Camaldoli. E¿ intitolato alla Santa Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo. Ma il nome vero dell¿ashram è Saccidananda, parola sanscrita tripartita che evoca la trinità della fede Veda: origine del tutto, sapienza, beatitudine. E la raffigurazione scolpita che sovrasta il portale d¿ingresso dello spazio sacro ricorda la trimurti induista di Brahma, Visnù e Shiva, il principio creatore, preservatore, distruttore del cosmo. E il luogo di preghiera somiglia tanto a un tempio indù. Col sancta sanctorum buio, misterioso come la caverna della madre terra da cui risorge la nuova creazione. Che appare nella cupola colorata e popolata, con i suoi santi, con i quattro Gesù così simili a Budda, con il fior di loto, con i simboli dei cinque elementi, su su fino alla cuspide della divinità infinita.
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I fondatori di questo ashram sono venuti dall¿Occidente: Jules Montanin e Henri Le Saux dalla Francia, Bede Griffiths dall¿Inghilterra. Anche Panikkar è passato di qui. Anche Dupuis. Oggi i loro discepoli che guidano il monastero sono indiani: George, il priore, John Martin, il teologo, Marie Louise, sapiente maestra dello spirito. Ma l¿ashram è di tutti e per tutti. Di fede indù o di chissà quale altra fede e nazione. I confini sono caduti. All¿inizio di ogni preghiera risuona la sacra sillaba sanscrita «Om», il suono primordiale da cui è nata la terra.


6.9.2000

7 pensieri riguardo “Attacco a Wojtyla e a Ratzinger. La vendetta dei gesuiti quarant’anni dopo.

  1. nonostante i continui richiami di quattro papi (Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI) hanno continuato su quella diabolica strada. Adesso che sul Trono di Pietro siede uno di loro, non hanno più freni.

    Il che dimostra che i richiami non bastavano e che bisognava cacciarli. Purtroppo quei quattro papi non hanno adempiuto al proprio dovere e ci hanno lasciato in balia di questi eretici. Non ho dubbi che tutto ciò alla fine sia a causa dei peccati dei cattolici, che in massa vogliono la Chiesa delle Libertà, tuttavia se un Papa è la più grande autorità sulla Terra, evidentemente dovrebbe esercitarla appropriatamente.

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  2. sono perfettamente d’accordo con te e l’analisi fatta dall’articolo. Bisogna sottolineare che da quella misericordia imposta da Giovanni XXIII per la quale non si doveva più condannare ma appunto conciliare, dialogare, ci sono derivate le peggiori delle mostruosità come il suicidio della cattolicità e della dottrina, l’arrendersi al mondo, scendere a patti col demonio… e tutti gli altri compromessi di cui ne stiamo pagando le conseguenze. Di questo sono responsabili tutti i papi dal concilio.

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  3. “… un complotto contro la Chiesa cattolica esiste ed è stato elaborato dal Diavolo, il grande nemico della nostra salvezza, di cui i gesuiti – inconsapevolmente? forse sì, forse no… chi lo sa! – sono diventati i migliori alleati.”

    Scusate, avete scritto “INCONSAPEVOLMENTE? FORSE SI’, forse no… “?
    Inconsapevolmente ?!?
    Dobbiamo arguire che la fama di gran cultura dei signori gesuiti è tutta una montatura, e che sono solo una manica di tontoloni e di tardelloni?

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    1. Cara Marisa, infatti hanno aggiunto “forse sì, forse no… chi lo sa!”
      E’ una forma ironica la perché laddove i fatti danno ragione che non sono affatto dei tontoloni o tardelloni, è anche vero che non si conoscono i loro cuori, e di ciò risponderanno a Dio (come dovremo rispondere anche noi di ciò che scriviamo), noi possiamo solo avvisare la gente di cosa c’è dietro tutto questo, lasciando a voi di maturare le più sane e corrette valutazioni.
      E’ dura cara Marisa e sarà sempre più cruenta la battaglia, quella buona…. ma noi sappiamo come si chiuderanno i loro giochi 😉

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  4. Scusate la pedanteria. Esordire “I gesuiti di Pedro Arrupe si arrancarono il diritto di applicare il Concilio Vaticano II” invece che “si arrogarono il diritto” non va bene

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    1. Gentile Paolo, nessun problema, la ringraziamo per la sottolineatura. Tuttavia questa piccola deformazione, chiamiamola così, è stata voluta. Arrogarsi, infatti, significa “attribuire indebitamente a sé; attribuirsi ogni merito“….
      nello specifico, invece, l’arrancare, che significa un “trascinarsi faticosamente, spostarsi a stento; per stanchezza o malformazione...”, l’abbiamo ritenuto più idoneo al caso specifico da noi trattato.
      La ringraziamo per averci dato modo di spiegare.

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