Lo sbaglio di papa Francesco nel concetto della Confessione

Il sacerdote nel confessionale è GIUDICE E MEDICO, non il compagnone di merende o di incidenti di percorso. Giudice e Medico, fattori indispensabili per amministrare la vera misericordia divina a quanti, PENTITI, la chiedono!

Ci è stata segnalata l’Omelia di stamani di papa Francesco alle ordinazioni presbiterali, vedi qui testo ufficiale integrale, dove ai nuovi sacerdoti dice:

  • Con il Battesimo aggregherete nuovi fedeli al Popolo di Dio. Con il Sacramento della Penitenza rimetterete i peccati nel nome di Cristo e della Chiesa. E qui mi fermo per chiedervi: per favore, non stancatevi di essere misericordiosi. Pensate ai vostri peccati, alle vostre miserie che Gesù perdona. Siate misericordiosi.

La frase è molto, molto ambigua, non è propriamente così! Il Sacerdote, nel confessionale, non deve rimettere i peccati altrui pensando ai suoi, o a quanto Iddio gli ha perdonato. Il Sacerdote deve essere al di sopra delle parti, anche della sua. Se infatti, come dice già giustamente il papa, il Sacerdote in questo Sacramento “rimette i peccati nel Nome di Cristo e della Chiesa“, non deve affatto stare a pensare alla sua condizione di “perdonato”, ma deve pensare ai peccati del penitente, al grado di peccato, cosa e come dottrinalmente consigliare, la penitenza da dare e, certamente, parole di misericordia nei confronti del penitente davvero pentito, in base al grado di COMPUNZIONE del soggetto, vedere qui i termini della dottrina. Si legga anche qui.

Dom Giulio Meiattini, denuncia qui e  a ragione come i Sacramenti, oggi, sono ridotti a MORALE, queste parole del papa sono l’ennesimo esempio calzante. E’ evidente che  un Sacerdote – che non tenesse conto della propria esperienza del PERDONO – non avrebbe molto da offrire al penitente, ma non quando deve giudicare lo stato di peccato del penitente. Non a caso, l’assoluzione che egli darebbe ad un penitente davvero pentito e la seguente penitenza, sono validi anche se lui fosse in uno stato di grave peccato mortale, mentre ciò non sarebbe valido se, sfruttando tale Sacramento, ci si confessasse per nascondere di fatto (e giustificarsi) peccati gravi, come quello del VI Comandamento, con la malizia e la furbizia di essere assolti.

Dice infatti il Diritto Canonico:

  • Can. 977 – L’assoluzione del complice nel peccato contro il sesto comandamento del Decalogo è invalida, eccetto che in pericolo di morte.
  • Can. 978 – §1. Ricordi il sacerdote che nell’ascoltare le confessioni svolge un compito ad un tempo di giudice e di medico, ricordi inoltre di essere stato costituito da Dio ministro contemporaneamente della divina giustizia e misericordia, così da provvedere all’onore divino e alla salvezza delle anime.
  • 2. Il confessore, in quanto ministro della Chiesa, nell’amministrazione del sacramento aderisca fedelmente alla dottrina del Magistero e alle norme date dalla competente autorità.

Il sacerdote nel confessionale è GIUDICE E MEDICO, non il compagnone di merende o di incidenti di percorso. Giudice e Medico, fattori indispensabili per amministrare la vera misericordia divina a quanti, PENTITI, la chiedano!

E’ anche vero che “l’unico perdono” che possiamo ricevere è quello stesso che “abbiamo ricevuto” (cfr san Paolo), ma qui il Vangelo non intende “quello personale”, ma quello del Cristo stesso davanti al quale ci pentiamo, dimostrando d’aver compreso lo stato di peccato e di volerlo fuggire. Nostro Signore Gesù Cristo dice che il perdono deve essere concesso solo a chi è veramente pentito: ”se un tuo fratello pecca, rimproveralo; ma se si pente, perdonagli” (Lc. 17,3 ).

Ecco perchè, Gesù, dice anche: “può un cieco guidare un altro cieco? non cadranno tutti e due nella fossa?” (Lc.6,39). La vera solidarietà, sia sacramentale, quanto nelle opere, aspetti differenti ma non separabili, diventa allora una guida attraverso la quale camminare, con il prossimo, verso la meta della santità e non una valutazione privatista – sacramentale – del grado di misericordia che il sacerdote ha ricevuto per se stesso.

L’esempio più chiaro dei Vangeli è il fatto tra Gesù e l’adultera:

“Allora Gesù, alzatosi, le chiese: Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata? Rispose: Nessuno, Signore. Le disse Gesù: Neppure io ti condanno, va e non peccare più” (Gv.8,3,11).

O come quando guarisce il paralitico, pochi citano le parole di Gesù che sono un severo giudizio e monito per il comportamento del redento: qui il giudizio del “non peccare più” è accompagnato da un monito severo: “perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio”(Gv.5,14).

Purtroppo a questi episodi, queste parole, vengono tolte, da troppe prediche, l’ultima frase “va e non peccare più” e il “perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio”, sembrano diventate, oggi, delle richieste intolleranti. Ma è questa la base più vera per ricevere il Sacramento del Perdono!!

E’ perciò chiaro che se vogliamo essere salvati dobbiamo corrispondere alla grazia della Misericordia di Dio che ci viene donata abbondantemente dal Figlio Divino. In una parola dobbiamo convertirci, lo dice Gesù e lo ripensiamo anche nel terzo Mistero della Luce del Rosario: nell’annuncio del Regno di Dio con l’invito alla conversione, due atti distinti ma inseparabili e dipendenti fra loro. Mistero di luce perché Gesù annuncia l’avvento del Regno di Dio implicando una clausola: la conversione (cfr.Mc 1,15), rimettendo i peccati di chi si accosta a Lui con umile fiducia (cfr. Mc 2, 3-13; Lc 7, 47-48), inizio del ministero di misericordia che Egli continuerà ad esercitare fino alla fine del mondo attraverso, appunto, il sacramento della Riconciliazione affidato alla sua Chiesa (cfr. Gv 20, 22-23).

Quando Gesù incontrava i peccatori, infatti, non li giudicava in quanto trattava il caso da uomo a uomo, tra pari, o “compagni di merenda”, ma agiva come “Maestro-Rabbì” ; “la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato” (Gv.14,24), Egli faceva emergere l’errore (leggere l’episodio con l’adultera in quel “va e non peccare più” in Gv.8,1-11), rilevando l’atto sbagliato, e questo suo “sapere” convinceva, attirava le persone, così come allontanava coloro che avendo capito il problema non volevano abbandonare il proprio peccare: “cercate di uccidermi perché la mia parola non trova posto in voi…” (Gv.8,37).

E se ricado? Rialzati! Gesù non giudica le volte che cadiamo, ma l’essere recidivi ad un atto volontario verso il peccato, qui la Misericordia si arresta davanti alla scelta, mentre si attiva nel confessionale dove veniamo perdonati ogni volta che, per davvero, ci pentiamo. Possiamo invece dire che certa confusione deriva dal fatto che, chiamando sempre più insistentemente questo Sacramento “il Sacramento della Penitenza”, si è finiti spesso con il mettere più in sordina la “soddisfazione” che tale Sacramento richiede dopo la confessione dei peccati. Dice infatti il Catechismo:

  • 1494 Il confessore propone al penitente il compimento di certi atti di «soddisfazione» o di «penitenza», al fine di riparare il danno causato dal peccato e ristabilire gli atteggiamenti consoni al discepolo di Cristo.

Infatti, sempre nel Catechismo leggiamo: “È chiamato sacramento della Penitenza poiché consacra un cammino personale ed ecclesiale di conversione, di pentimento e di soddisfazione del cristiano peccatore…”

gif_animate_smile_05E allora dobbiamo domandarci: cosa è questa Penitenza?

Penitenza, pentire, penitente, hanno tutti una comune radice che viene da quel rimorso di un cuore sincero che, comprendendo di essere caduto in disgrazia, non si piega su se stesso, ma si rialza, pentito reagisce accogliendo la pena (pen-itere=penitente) che sente di dover soddisfare per il reato commesso. Tale cuore è spinto dalla grazia ricevuta nel confessionale, l’assoluzione dei peccati confessati, quindi la certezza di essere stato già perdonato lo spinge ancor più a dedicarsi all’espiazione (pena) del danno fatto.

Un Sacerdote, nel Confessionale deve perciò pensare ALLA PAROLA DEL CRISTO, al suo fedele insegnamento e al magistero della riconciliazione a lui affidato, non deve affatto pensare a se stesso! Non deve valutare una confessione sulla base della sua esperienza o condizione personale, anche se questa – senza dubbio – è sempre utile per CONFORTARE il penitente, specialmente davanti a quelli più scoraggiati, ma non certo a quelli impenitenti, come sembra, purtroppo, dirigersi il pensiero del papa.

E perdonateci se insistiamo, ma è proprio del Modernismo gesuitico, il ribaltamento del concetto della Confessione e del peccato e del ministero del sacerdote di oggi!

  • Questa è la funzione in persona Christi del sacerdote: rendere presente, nella confusione e nel disorientamento dei nostri tempi, la luce della parola di Dio, la luce che è Cristo stesso in questo nostro mondo. Quindi il sacerdote non insegna proprie idee, una filosofia che lui stesso ha inventato, ha trovato o che gli piace; il sacerdote non parla da sé, non parla per sé, per crearsi forse ammiratori o un proprio partito; non dice cose proprie, proprie invenzioni, ma, nella confusione di tutte le filosofie, il sacerdote insegna in nome di Cristo presente, propone la verità che è Cristo stesso, la sua parola, il suo modo di vivere e di andare avanti.
  • Per il sacerdote vale quanto Cristo ha detto di se stesso: “La mia dottrina non è mia” (Gv, 7, 16); Cristo, cioè, non propone se stesso, ma, da Figlio, è la voce, la parola del Padre. Anche il sacerdote deve sempre dire e agire così: “la mia dottrina non è mia, non propago le mie idee o quanto mi piace, ma sono bocca e cuore di Cristo e rendo presente questa unica e comune dottrina, che ha creato la Chiesa universale e che crea vita eterna…” (Benedetto XVI – Anno Sacerdotale, il  Munus docendi, 14 aprile 2010)

AGGIORNAMENTO:  a conferma di quanto abbiamo scritto, leggete qui: ZAMPINO DI RAHNER SULLA DOTTRINA… INFERNALE.

 

Un pensiero riguardo “Lo sbaglio di papa Francesco nel concetto della Confessione

  1. Mi chiedo: le migliaia o milioni di persone che nel mondo stanno attendendo un intervento chirurgico, magari salvavita, cosa dovrebbero attendersi dal chirurgo che li opererà?
    Che gli vengano dei pensierini da bravo bambino, del tipo ‘non bisogna fare la bua a nessuno!’ o al contrario che sappia mantenersi fedele all’onere che assunse col giuramento di Ippocrate, in scienza e coscienza, con la virilità richiesta?

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