Vaticanate, predicare povertà e incassare quattrini

Pubblicato il 25 novembre 2016 sul quotidiano La Verità con un altro titolo e altri sottotitoli.

di Piero La Porta

Battaglia in Vaticano sulla dottrina? Certo, ma anche sui quattrini. Bergoglio predica la povertà? Certo, ma, secondo i bene informati, chiusi i microfoni e spente le telecamere, i maneggioni della finanza hanno campo libero. Nello IOR? Neanche per sogno.

La “banca del Papa” oggi non nasconde nulla, se non altro perché nei nove mesi che intercorsero fra la defenestrazione di Ettore Gotti Tedeschi e l’arrivo del suo successore, il tedesco Ernst von Freyberg, una quantità considerevole di fondi fu girata su banche estere, in maggior parte connesse con Goldman&Sachs e JP Morgan.

Dio o mammona?

Tutto questo è ormai preistoria. L’Istituto per le opere di religione oggi è ligio alle norme internazionali di trasparenza e tracciatura del denaro che entra e che esce. È tutto a posto, quindi?

Un religioso – che non vuole far sapere né il rango né altri dettagli – a febbraio ci offrì una previsione: «Vincerà Donald Trump, ma non lo scriva. È controproducente togliere loro le illusioni; meglio che si confondano ulteriormente. Può scrivere invece che l’Fbi entrerà in gioco». A febbraio scrissi effettivamente sul mio blog del ruolo che avrebbe avuto l’Fbi contro Hillary Clinton. «Se avesse vinto Clinton non le avrei riferito quanto sto per dirle. La vittoria di Trump scombina le posizioni».

Il “pretino” – firma i suoi messaggi con questo ironico appellativo, ma la scorza è durissima – mi dà appuntamento con precauzioni da smaliziato 007. In borghese, l’aspetto non lascia sospettare chi sia davvero.  Dall’8 novembre, dice, la Curia vaticana è in subbuglio. Erano certi che la Clinton trionfasse. Sicuri a tal punto che spinsero Bergoglio a entrare in campagna elettorale. «Trump non è cristiano», rispose Bergoglio a una domanda preparata ad arte. La dichiarazione fece il giro del mondo. I sondaggi di Trump precipitarono. Avrebbe sicuramente vinto la Clinton, come dubitarne?

Il Pontefice oggi è furioso con chi lo ha mal consigliato e tuttavia s’illude di recuperare peso negoziale con Trump, aizzandogli contro l’opinione pubblica, sulla quale, ne è proprio convinto, presume di avere un controllo a tutta prova. È un illuso, ma deve guadagnare tempo mentre le elezioni presidenziali lo lasciano scoperto, perché «la finanza vaticana ha avuto un ruolo al servizio di Hillary Clinton e delle sue guerre e questo Trump lo sa», sostiene il pretino, che stigmatizza la Clinton con parole durissime.

Com’è possibile? Per comprendere che cosa accade bisogna fare un passo indietro.

Quello strano conclave del 2013

Prima del conclave, monsignor Carlo Maria Viganò, nunzio apostolico a Washington, entrò in contatto coi cardinali elettori del Nordamerica e del Sudamerica. Spiegò loro che cos’era successo col precedente segretario di Stato, Tarcisio Bertone; illustrò gli scandali amministrativi; sottolineò la necessità di trasparenza sia delle gestioni ordinarie sia dello IOR. Taluni sostengono che proprio da allora la stella di Bergoglio abbia cominciato a brillare. Insomma, i cardinali americani giunsero al conclave come un solo uomo. Su Bergoglio poi confluirono anche le preferenze dei tedeschi. Il resto è storia. Oggi i rapporti fra Bergoglio e l’episcopato statunitense sono tesi, ma questa è un’altra storia.

Nei mesi successivi al conclave la finanza vaticana è stata sottratta progressivamente al controllo dei prelati italiani. Normale, vien fatto di pensare: Bergoglio è americano sia pure argentino e i suoi grandi elettori, come abbiamo visto, non furono italiani. D’altronde i due celebri libri di Gianluigi Nuzzi e di Emiliano Fittipaldi, centrati sulla corruzione che dilagherebbe fra i prelati italiani della Curia, sono stati puntualissimi ad accompagnare la riforma della finanza vaticana. Giusto dunque che Bergoglio si sia rivolto ad altri.

Questo spiegherebbe l’insediamento del cardinale tedesco Reinhard Marx al vertice del Consiglio per l’economia, con il compito di «sorvegliare la gestione economica e vigilare sulle strutture e sulle attività amministrative e finanziarie dei dicasteri della Curia romana, delle istituzioni collegate con la Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano». In tale prospettiva, altrettanto comprensibile appare l’investitura del cardinale australiano George Pell, a guidare la Segreteria dell’economia, alle dirette dipendenze di Bergoglio. Scelte eccellenti, comunque la si pensi sui due porporati.

La “banda dei maltesi”

Tale altissimo livello di qualità non sembra tuttavia rispettato con l’irruzione dei prelati provenienti da Malta nei rimanenti gangli della finanza vaticana. La “banda dei maltesi”, com’è simpaticamente definita Oltretevere, fa capo al marchese Joseph Zahra, una vera celebrità nell’isola del Mediterraneo, così come a Messina e nel New Jersey. Maltese è pure monsignor Alfred Xuereb, spina nel fianco di Pell, nella Segreteria per l’economia, nonché membro della segreteria particolare di Bergoglio.

Potere solo ai maltesi? Ma no, anche al Lussemburgo la sua fettina. Bergoglio nominò presidente dell’AIF, l’Autorità di informazione finanziaria della Santa Sede, il lussemburghese René Brülhart. Un laico sbucato dal freddo con solidissime amicizie nel New Jersey e, nientemeno, nel Liechtenstein, nonché nella solita Messina. Era dicembre 2011. Brülhart cambiò la legge antiriciclaggio voluta dall’onestissimo cardinale Attilio Nicora, già presidente dell’APSA (Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica) e fino al 2014 presidente dell’Autorità di informazione finanziaria. Inoltre Brülhart pose l’AIF sotto il controllo della segreteria di Stato: come mettere la Banca d’Italia sotto Matteo Renzi. E il paragone è più calzante di quanto si possa supporre.

Molti si chiedono perché Bergoglio, predicatore incessante della povertà, abbia defenestrato l’integerrimo e cattolicissimo Ernst von Freyberg, dalla professionalità smagliante, per poi affidare alla “banda dei maltesi” l’economia del Vaticano. È un dato di fatto sconcertante e senza giustificazioni.

Non basta che il cardinale Pell, un mastino, alquanto prevenuto verso chiunque non sia anglosassone, sia la bestia nera dei maltesi. Anzi, questo genera ulteriore confusione: poiché i maltesi sono stati designati tutti direttamente da Bergoglio, circola la bufala d’una contrapposizione fra l’australiano e l’argentino. Bergoglio cerca di barcamenarsi con un improbabile «divide et impera»?

Il “pretino” aggiunge: «I maltesi non sono stati scelti da Bergoglio ma impostigli da Washington. Le metodologie sono state le medesime con le quali infiltrarono gli agenti che hanno complottato contro il Papa emerito». Bergoglio genuflesso all’imperatore, quindi.

Qualcuno potrebbe osservare che dopotutto Pell e Marx sono il rimedio di Bergoglio alla penetrazione clintoniana in Vaticano. Se così fosse, qual è il ruolo di Bertone, l’ex segretario di Stato? È apparentemente solo, dopo che persino monsignor Angelo Becciu, sostituto per gli affari generali della segreteria di Stato, lo ha scaricato. Proprio Bertone aveva insediato Becciu a maggio 2011.

Secondo i canoni pauperisti di Francesco, Bertone dovrebbe quindi essere in esilio da un pezzo: ha un patrimonio personale miliardario, vive in un attico lussuoso e vasto oltre ogni immaginazione, rammodernato con una controversa raccolta di fondi.

Il vessillifero della povertà, Bergoglio, oramai celebre per la facilità con la quale esilia i cardinali sgraditi, mantiene non di meno l’imbarazzante presenza di Bertone all’interno delle Mura leonine. Non ne è imbarazzato affatto, evidentemente. Anzi, tutti gli uomini di punta di Bertone, dentro e fuori del Vaticano, sono rimasti al loro posto. Al contrario chi gli si contrappone, come monsignor Carlo Maria Viganò, cade in disgrazia.

Bertone, un cardinale per tutte le stagioni

Infine, attraverso Bertone passano relazioni strategiche con le autorità politiche italiane. L’allora segretario di Stato e le istituzioni controllate dai suoi uomini sostennero Mario Monti alle elezioni. Oggi essi sono impegnati alacremente per il Sì al referendum, negli ospedali, nelle cliniche, negli ospizi, ovunque siano irradiati.

Inutile nasconderselo, Bertone è nel pieno dei suoi poteri e Bergoglio non può non saperlo, anzi lo gradisce. Il “pretino” è categorico: «Bergoglio, Bertone e i cardinali tedeschi condividono un segreto finanziario di enorme portata. Quale? Penserà Trump a metterli a posto. D’altronde egli sa bene che costoro hanno finanziato la campagna elettorale della Clinton».

Questa Chiesa dei poveri appoggia i personaggi fino a ieri assidui nello IOR, oggi sgomitanti nelle stanze di un altro organismo finanziario, apparentemente residuale, l’APSA. Anzi, lo scontro, tanto silenzioso quanto acerrimo, fra Pell e la “banda dei maltesi” fa perno proprio sull’APSA. Perché?

L’Apsa, non tutti lo sanno, ha un patrimonio liquido immenso, fondatosi con il contributo che lo Stato italiano versò al Vaticano, con i Patti Lateranensi, quale indennizzo per gli espropri fatti dopo l’Unità d’Italia.  Le grandi istituzioni bancarie, in testa Goldman Sachs e JP Morgan, disertano oggi lo IOR e preferiscono Apsa, presieduta dal cardinale Domenico Calcagno, guarda caso fedelissimo di Bertone.

Il segretario di Calcagno, monsignor Mauro Rivella, apre le porte dell’Apsa ai nuovi rampanti della finanza internazionale, come Oscar D’Intino. Che cosa accade? Il “pretino” sorride: «L’APSA non amministra solo i palazzotti affittati al notabilato romano. L’APSA ha cumulato sul patrimonio iniziale derivato dai risarcimenti degli espropri, trust, lasciti, enormi ricchezze, tesori distribuiti in tutto il mondo: centinaia e centinaia di miliardi. Ha una liquidità immensa. L’APSA riceve ed emette liquidità senza bilanci, senza rendere conto ad altri se non a chi ne assume il controllo. La sala trading dell’APSA è di gran lunga più vasta di quella IOR. Occorre tuttavia osservare che se Bertone è in questo sistema significa che egli è portatore di un interesse finanziario ulteriore e differente da quello dell’APSA e dei tedeschi».

È una povera Chiesa più che una Chiesa dei poveri. Cerchiamo di capirne di più.

L’APSA era composta di due sezioni una ordinaria e l’altra straordinaria. Quest’ultima per statuto «amministra i beni mobili propri e quelli ad essa affidati da altri enti della Santa Sede», in altre parole montagne di denaro contante, gran parte del quale è depositato a Francoforte in una miriade di depositi: «Centinaia e centinaia di miliardi, ancora più incontrollabili dopo la riforma voluta da Bergoglio, il quale ha unificato le due sezioni e i rispettivi patrimoni», assicura il “pretino”, «miliardi incontrollabili, molti dei quali erano diretti verso il più politically correct dei paradisi fiscali, Cuba. Con l’arrivo di Trump il piano scricchiola e i vessilliferi della povertà sono molto preoccupati».

L’Apsa potrebbe ricordare i fasti dello IOR ai tempi dell’americano Paul Marcinkus? «Solo le diocesi tedesche hanno una ricchezza paragonabile a quella dell’Apsa e altrettanto pericolosa. Cifre incontrollate di centinaia di miliardi sono un pericolo per l’umanità. Il pericolo è ancora più complesso, perché i tedeschi operano al di fuori del sistema bancario vaticano, attraverso la Pax Bank, la cui unica filiale italiana è a due passi dal Vaticano, ma ben lontana dal suo controllo».

Dicono che i tedeschi aiutino molto le missioni in Africa. «È vero», conferma il “pretino”, «anzi è stato più vero in passato. Da qualche tempo i biglietti per trasmigrare dall’Africa in Italia sono lowcost. Qualcuno ha deciso di svuotare le Chiese africane di energie vitali. La prospettiva di un papa africano, ricorrente ai tempi di San Giovanni Paolo II, oggi è labile. Lasciamo in pace il povero Paul Marcinkus, morto in vera e vissuta povertà. Lo IOR di Marcinkus era criticabile, certo, ma lavorava solo per fini istituzionali. Marcinkus non ha mai genuflesso la Chiesa a gente dello stampo dei clintoniani e di Goldman Sachs, né ai loro servi mitrati. Marcinkus è morto davvero povero e non nascondeva centinaia di miliardi. Quella Chiesa non predicava la povertà a chiacchiere, ma la combatteva coi fatti. Ecco perché per costoro Trump è un terremoto più aspro di quello che ha devastato il Centro Italia».

(fonte: pierolaporta.it)


«Il miglior modo per arricchirsi è perorare la causa del povero»

(Nicolás Gómez Dávila, 1913-1994, “Escolios a un texto implícito. Obra completa”, 5 voll. Bogotá: Villegas Editores, 2005.)

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