In Italia stanno per diventare legge, ma il papa scoraggia i cattolici dall’alzare le barricate. Fece così anche in Argentina. Diversa invece è la sua politica sulle migrazioni, la povertà, il radicalismo islamico.
di Sandro Magister (15-01-2015)
A Jorge Mario Bergoglio la piazza piace festosa e orante, mai politicamente aggressiva. A Buenos Aires, nel 2010, rimandò a casa i cattolici che s’erano attestati davanti al parlamento per una veglia di preghiera contro l’incombente approvazione del matrimonio omosessuale. Li convinse a “evitare la contrapposizione”.
Certo, in quella legge Bergoglio vedeva nientemeno in azione “il padre della menzogna che ha la pretesa di confondere ed ingannare i figli di Dio”, ma in pubblico non disse una parola. Soltanto lasciò trapelare una lettera che aveva scritto a delle monache carmelitane di clausura, in cui incolpava il diavolo e chiedeva preghiere.
Anche oggi che una legge sulle unioni omosessuali sta arrivando in Italia, papa Francesco non deflette da questa sua linea.
Ha tuonato contro “le nuove colonizzazioni ideologiche che cercano di distruggere la famiglia” e contro “quello sbaglio della mente umana che è la teoria del gender”. Ma l’ha fatto mentre era in viaggio a Manila e a Napoli, entrambe le volte fuori contesto, mai nel vivo della contrapposizione politica.
Lo scorso giugno, all’annuncio di un “Family Day” a Roma contro la legalizzazione delle unioni omosessuali, il segretario della conferenza episcopale italiana Nunzio Galantino, il portaordini del papa tra i vescovi, fece di tutto per farlo morire sul nascere. E quando la manifestazione ci fu ugualmente e con grandissimo concorso di popolo, papa Francesco si guardò dal farle avere la sua pubblica benedizione.
I fedeli agiscano pure in campo politico, ha detto poi il papa agli stati generali della Chiesa italiana riuniti a Firenze in novembre, ma si scordino di avere dei “vescovi-piloti”.
Il “Family Day” del 2007, quello che fermò l’approvazione di una legge sulle unioni di fatto, fu in effetti promosso dalla CEI. Ma oggi anche tra chi vi partecipò c’è chi si adegua alla nuova linea di Bergoglio, e lo definisce non più un successo ma un “fallimento” da non ripetere più: parola del cardinale Gualtiero Bassetti e del nuovo presidente del Forum cattolico delle famiglie, Gianluigi De Palo.
Mite e ben visto dall’opinione laica riguardo alle nuove leggi sulle unioni omosessuali, papa Francesco adotta invece una linea più dissonante su altre questioni geopolitiche di grande impatto: dalle immigrazioni alla povertà al radicalismo musulmano.
Sui flussi migratori, per il papa tutto si risolve in una sola parola: “accoglienza”, e nella conseguente riprovazione di tutti coloro che non vi si conformano.
Francesco evita accuratamente di chiamare per nome i riprovati, compresi gli Stati e le pubbliche istituzioni. A Lampedusa, nella piccola isola dove ha compiuto il suo primo viaggio da papa, gridò un indistinto: “Vergogna!”. Ma se si guarda a che cosa dicono e fanno i governanti in Europa e nel mondo, la distanza tra loro e il papa appare abissale.
“Serve accoglienza, ma serve anche rigore”, ha detto il capo dello Stato italiano Sergio Mattarella, cattolico e di sinistra, nel suo messaggio di fine anno alla nazione. “Occorrono regole comuni per distinguere chi fugge da guerre o persecuzioni e ha, quindi, diritto all’asilo, e altri migranti che vanno invece rimpatriati”. Sono parole che Francesco non sottoscriverebbe.
Quanto alla povertà, la soluzione sistematicamente invocata dal papa è di dare terra, casa, lavoro a tutti gli uomini. Ma ha ragione il politologo Angelo Panebianco ad obiettare che “c’è in Francesco l’idea che le risorse siano già tutte a disposizione e che la loro scarsità, anziché un vincolo obiettivo, sia piuttosto l’effetto di una congiura delle classi dominanti ai danni dei poveri del pianeta”.
Lo scorso 12 luglio, interrogato a bruciapelo da un giornalista tedesco sul volo di ritorno dal Paraguay, Francesco ha sì ammesso lo “sbaglio” di trascurare nelle sue analisi la classe media, ma ha aggiunto che questa “diventa sempre più piccola”, schiacciata com’è dall’aumento della disuguaglianza fra i ricchi e i poveri. Al papa evidentemente sfugge che i numeri dicono l’opposto, a cominciare dai giganti India e Cina.
E quanto al radicalismo islamico, stupisce che Francesco lo dica figlio dell’aggressione occidentale e della povertà, cioè di condizioni materiali, “strutturali” in senso marxiano, invece che di una scelta religiosa nativa, di una lettura del Corano in esso ben radicata. Anche qui la narrazione politica papale appare distaccata dalla realtà. E di conseguenza inefficace.
Alla questione delle migrazioni Francesco ha dedicato gran parte del suo discorso dell’11 gennaio al corpo diplomatico: > “Cari Ambasciatori…”.
Il papa ha riconosciuto che in Europa “sono sorti non pochi interrogativi sulle reali possibilità di ricezione e di adattamento delle persone”. Ma nonostante ciò ha sollecitato gli Stati ad attuare un’accoglienza dei flussi migratori illimitata: non soltanto di quelli provenienti da luoghi di guerra e persecuzione, ma anche di quelli spinti dalla ricerca di migliori condizioni di vita.
E nell’incoraggiare aiuti allo sviluppo dei Paesi di provenienza, ha rinnovato il monito che tali aiuti non siano condizionati da “strategie e pratiche ideologicamente estranee o contrarie alle culture dei popoli cui sono indirizzate”. Cioè dall’imposizione di leggi sui matrimoni omosessuali
Questo è invece ciò che ha detto pochi giorni prima in materia di migrazioni il capo dello Stato italiano, il cattolico Sergio Mattarella, nel suo messaggio di fine anno alla nazione: “Il fenomeno migratorio nasce da cause mondiali e durerà a lungo. Non ci si può illudere di rimuoverlo, ma si può governare. E si deve governare… Occorrono regole comuni per distinguere chi fugge da guerre o persecuzioni e ha, quindi, diritto all’asilo, e altri migranti che vanno invece rimpatriati, sempre assicurando loro un trattamento dignitoso… Serve accoglienza, serve anche rigore. Chi è in Italia deve rispettare le leggi e la cultura del nostro Paese… Quegli immigrati che, invece, commettono reati devono essere fermati e puniti… Quelli che sono pericolosi vanno espulsi. Le comunità straniere in Italia sono chiamate a collaborare con le istituzioni contro i predicatori di odio e contro quelli che praticano violenza”.
È evidente che in materia di migrazioni c’è una forte distanza tra le posizioni del papa e del presidente italiano. Come più ampiamente illustrato in questo servizio: > Sull’immigrazione, tra Bergoglio e Mattarella c’è disaccordo pieno.
Altri particolari su come nel 2010 l’allora arcivescovo di Buenos Aires affrontò in Argentina la legalizzazione del matrimonio omosessuale:
> Bergoglio, il generale che vuole vincere senza combattere (10.3.2014)
> Contro il matrimonio gay il generale Bergoglio mandò all’assalto le suore(15.11.2013)
> Diario Vaticano / Sei voti in più per le unioni “gay” (10.6.2013)
In Italia una grande manifestazione a Roma contro la legge sulle unioni omosessuali in discussione in parlamento è stata annunciata da esponenti cattolici per la fine di gennaio.
Ma il segretario della conferenza episcopale Nunzio Galantino, collocato in questo ruolo dal papa, si è affrettato a negare qualsiasi appoggio da parte della CEI.
Se un vescovo vorrà parteciparvi, “potrà farlo ma non potrà pretendere che vi partecipino tutti gli altri vescovi”, ha detto in un’intervista al Corriere della Sera del 13 gennaio: > La CEI: “Unioni civili: giusto, ma le adozioni siano fuori”.
Quanto alla visione politica generale di Jorge Mario Bergoglio, condensata nei due suoi discorsi ai “movimenti popolari” di tutto il mondo, da lui convocati a Roma il 28 ottobre 2014 e a Santa Cruz, in Bolivia, il 9 luglio 2015, si veda qui: > Da Perón a Bergoglio. Col popolo contro la globalizzazione (12.8.2015)
Bergoglio no dice que no a las uniones homosexuales
Bergoglio ne dit pas non aux unions gay
When It Comes To Gay Unions, Bergoglio Doesn’t Say No