La parola alla difesa. Due lettere pro Francesco

Due “tifosi” di papa Francesco scrivono al vaticanista Magister. Il primo vuole dimostrare che l’attuale Vescovo di Roma non intende cambiare la dottrina. E su questo siamo d’accordo con questo “tifoso”: la dottrina, infatti, più che cambiata, è stata messa da parte, in un angolo, come è stato fatto con i tabernacoli nelle “chiese moderne” costruite dopo il Vaticano II. Il secondo “tifoso” si lascia calcare la mano, non esitando a denigrare i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI: per costui conta il “personaggio papa Francesco”, che rappresenta il “Gesù” e la “Chiesa” che si è fatto a sua immagine e somiglianza. Entrambi però dimenticano che il papa — nessun papa — può portare avanti, nel governo della Chiesa, le proprie idee, ma custodire il depositum fidei e confermare i battezzati nella Fede.

di Sandro Magister

L’una e l’altra lettera concordi nell’apprezzare papa Bergoglio. Ma radicalmente divergenti nel giudicare i predecessori, nell’una “splendidi”, nell’altra “sciagurati”.


QUESTO PAPA NON INTENDE CERTAMENTE SOVVERTIRE LA DOTTRINA

Caro Magister,

sembra che ultimamente la critica pressoché sistematica ai pronunciamenti e ai gesti di papa Francesco sia diventata un’attività corrente e ordinaria anche da parte di ambienti e persone che intendono professare un cattolicesimo “integrale”, inteso legittimamente e doverosamente nel senso di “integro”.

6643cd4e-2361-3f57-83ee-a23895a16a16Questo atteggiamento si illude di combattere la cosiddetta “modernità” nello stesso momento in cui la ipostatizza, in tal modo riconoscendone – sia pure “per contrasto” – l’attuale insuperabilità. L’esame dei presupposti ideologici (prima ancora che teologici) di questa visione (pretesamente critica del “moderno” ma in realtà subalterna ad esso) richiederebbe una lunga analisi, che esula certamente dai limiti di una breve lettera.

Non posso però non segnalare il disagio mio – e di tanti altri – di fronte a una posizione che continua ad apparirmi contraddittoria e poco comprensibile.

Mi pare infatti difficile conciliare l’aspirazione a un cattolicesimo fedele e integro col mancato doveroso ossequio anche interiore al magistero ordinario papale (il codice di diritto canonico parla di “religioso ossequio dell’intelletto e della volontà”).

D’altra parte, il ricorso a un’ermeneutica della riforma nella continuità – l’unica ermeneutica compatibile con l’essenza del cattolicesimo – mostra agevolmente come gli insegnamenti di questo papa non intendano certamente sovvertire la dottrina classica.

Si potrebbero fare tante citazioni al riguardo. Mi limito a osservare, a titolo di esempio, che non mi sembra che Francesco abbia parlato, nel discorso conclusivo del sinodo, di misericordia senza pentimento, ma piuttosto – e inequivocabilmente – di un “doveroso pentimento”.

Solo che questo suo richiamo viene inquadrato magnificamente nella dottrina di san Paolo nella lettera ai Romani, ricordandoci che “le opere e gli sforzi umani assumono un significato più profondo, non come prezzo dell’inacquistabile salvezza, compiuta da Cristo gratuitamente sulla croce, ma come risposta a Colui che ci ha amato per primo e ci ha salvato a prezzo del suo sangue innocente, mentre eravamo ancora peccatori” (cfr Rm 5, 6).

Ivi si richiamano anche gli insegnamenti dei predecessori sulla misericordia, tra cui uno splendido passo di Paolo VI: “Possiamo quindi pensare che ogni nostro peccato o fuga da Dio accende in Lui una fiamma di più intenso amore, un desiderio di riaverci e reinserirci nel suo piano di salvezza […]. Dio, in Cristo, si rivela infinitamente buono […]. Dio è buono. E non soltanto in sé stesso; Dio è – diciamolo piangendo – buono per noi. Egli ci ama, cerca, pensa, conosce, ispira ed aspetta: Egli sarà – se così può dirsi – felice il giorno in cui noi ci volgiamo indietro e diciamo: Signore, nella tua bontà, perdonami. Ecco, dunque, il nostro pentimento diventare la gioia di Dio».

Non riesco, francamente, a vedere dove sia il problema, o il contrasto con la dottrina tradizionale, o col Vangelo, se appena si ricorda la parabola lucana.

O forse il problema sta nella mente degli interpreti: e quindi nell’ermeneutica adoperata e nei relativi presupposti, più o meno ideologici.

Con i più sentiti auguri di buon Natale.

Francesco Arzillo


FINALMENTE LO SPIRITO CI HA DONATO UN PAPA CRISTIANO

Caro Magister,

115d411b-f5f1-3b86-a9d6-4f2d5a4f6e04seguo da tanto tempo il suo blog Settimo Cielo, con interesse e passione. Tanto più dall’inizio del pontificato di Francesco, così indigesto alla sua sensibilità.

Molte delle osservazioni che esprime nei commenti del blog sono puntuali e circostanziate. In altre occasioni, sempre più frequenti, invero, riesce a nascondere con grande difficoltà la rabbia (o l’incredulità) che le monta dentro.

Metta in conto, però, anche la presenza nella Chiesa, da membri effettivi e partecipi e attivi, di tanti che, come il sottoscritto, hanno finalmente trovato in Jorge Mario Bergoglio un pastore in grado di radunare un gregge disperso.

Dopo gli sciagurati, lunghi anni del pontificato di Karol Wojtyla e l’esperienza di nobile spiritualità elitaria di Joseph Ratzinger, lo Spirito ci ha donato un papa cristiano, nel senso che si fa discepolo del Signore Gesù, che torna ad annunciare una “buona notizia” a tutti coloro che l’istituzione religiosa, prima ancora di qualsiasi altra autorità, relega ai margini: il Signore non fa preferenza di persone! Sempre. Comunque.

Dio si fa vicino all’uomo non come un premio per i suoi meriti ma come un dono per i suoi bisogni.

Il Dio di Gesù è proprio questo: un Dio esclusivamente buono che non rigetta mai nessuno. L’istituzione religiosa, dell’epoca così come quella attuale, non riesce a tollerare questa immagine. Se non altro perché la rende completamente superflua, in quanto squalifica la “religione”, cioè tutte le pratiche e le procedure che hanno come scopo la messa in comunicazione tra l’uomo e Dio, mediante la regolamentazione dei comportamenti, la codifica del pensiero, la strutturazione della morale. Gesù ha pagato con la croce l’odio di chi si sentiva minacciato da una simile rivelazione: i sacerdoti, gli scribi e i farisei.

Dopo decenni di apnea – dai tempi di Paolo VI – torniamo finalmente a respirare. Non perché Bergoglio sia il nuovo “Cristo in terra” ma perché torniamo a sperimentare che Dio non abbandona la sua Chiesa e che nuovi profeti sono ancora in grado di dargli voce.

Vorrei comunque ringraziarla per il suo contributo, senza alcuna ironia.

Mi aiuta a riflettere, ad interrogarmi, a mettermi in discussione. E a cogliere alcuni aspetti molto critici della pastorale di Bergoglio che altrimenti non sarei in grado di cogliere. Anche chi esprime una fede della stessa lunghezza d’onda della propria, ovviamente, commette molti errori. Ed è interessante rilevarli, valutare evidenti contraddizioni o chiare lacune.

Lo Spirito, probabilmente, è un teologo poco accorto. E anche un po’ incoerente.

Per questo desideriamo, più di ogni altra cosa, lasciarci trasportare dal suo “venticello leggero”.

Con viva cordialità, le auguro buon Natale.

Marco Montecchiari

© Settimo Cielo (24-12-2015)

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