Alla “ermeneutica” insistentemente chiesta dallo stesso papa Francesco riguardo alle sue parole il compito di capire se si sia trattato di un effetto calcolato oppure no.
di Sandro Magister
Riprendendo il 5 agosto le udienze generali del mercoledì, e dedicando la sua catechesi ai divorziati risposati, papa Francesco non ha fatto altro che ripetere quasi alla lettera ciò a cui li esortava già nel 1981 Giovanni Paolo II, nel documento Familiaris consortio successivo al sinodo dell’anno precedente anch’esso dedicato alla famiglia.
Giovanni Paolo II nel 1981:
“I divorziati risposati non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana”.
Francesco nel 2015:
“Queste persone non sono affatto scomunicate, e non vanno assolutamente trattate come tali: esse fanno sempre parte della Chiesa. Vivano e sviluppino sempre più la loro appartenenza a Cristo e alla Chiesa con la preghiera, con l’ascolto della Parola di Dio, con la frequenza alla liturgia, con l’educazione cristiana dei figli, con la carità e il servizio ai poveri, con l’impegno per la giustizia e la pace”.
Le uniche varianti, sono state, da parte di Francesco, il cambio di una parola e il silenzio su un punto particolare.
Invece che “non separati” dalla Chiesa, Francesco ha detto che i divorziati risposati sono “non scomunicati”. E mentre Giovanni Paolo II proseguiva ribadendo per essi il no alla comunione eucaristica, Francesco in proposito ha taciuto.
Stando all’accurata esegesi dell’udienza che ha fatto il giurista cattolico argentino José Durand Mendioroz – già noto ai lettori di http://www.chiesa per un precedente suo intervento sui temi del sinodo – Francesco si è attenuto perfettamente alla dottrina costante della Chiesa romana: > El “signo” de la catequesis papal del 5 de agosto
Ma sono bastati la parola e il silenzio sopra citati a fare il botto nel circuito dei media. Cioè a far nascere e dilagare la pseudonotizia che papa Francesco abbia tolto la scomunica ai divorziati risposati e li abbia ammessi alla comunione sacramentale.
Alla “ermeneutica” insistentemente chiesta dallo stesso papa Francesco riguardo alle sue parole il compito di capire se si sia trattato di un effetto calcolato oppure no.
Si può dire invece con una certa sicurezza che è venuta a mancare nel circuito dei media quella risonanza che il papa si aspettava a proposito di un altro suo recente discorso: quello rivolto il 9 luglio in Bolivia ai movimenti popolari. Che Francesco vi tenesse moltissimo era intuibile già dalla sua lunghezza fuori del comune. Ma soprattutto dall’impronta personale della sua stesura.
In un’ampia e acuta analisi pubblicata il 24 luglio su The Catholic World Report, il gesuita James V. Schall, docente di filosofia politica alla Georgetown University di Washington, così tratteggia la peculiarità di questo discorso:
“Checché se ne dica degli altri discorsi papali in Bolivia, questo di Santa Cruz è Bergoglio allo stato puro. Contiene la sua visione del mondo e di ciò che in esso non va. Il papa dice a noi ciò che pensa, senza chiedere le nostre opinioni. Perché le sue conclusioni le ha già tratte. È ciò che io definirei un discorso integralmente apocalittico e utopico. Descrive sia quanto terribile è la realtà, sia quanto idillica può diventare. Non c’è il minimo spazio per un comune senso mediano, per l’idea che il mondo può andare avanti da solo come ha fatto per millenni. È un’esortazione da secondo comandamento (’ama il tuo prossimo’) e non da primo comandamento (’cercate per prima cosa il regno di Dio’). È più vicina a Gioacchino da Fiore che ad Agostino di Ippona”.
E prosegue:
“Per quanto io possa giudicare, in questo peculiare discorso non troviamo quasi più traccia dell’attenzione cristiana per la virtù personale, la salvezza, il peccato, il sacrificio, la sofferenza, il pentimento, la vita eterna, né per una perenne valle di lacrime. Peccati e mali sono trasformati in questioni sociali o ecologiche che richiedono rimedi politici e strutturali”.
L’analisi di padre Schall poi si sviluppa entrando nel merito dei vari punti del discorso papale, ed è più articolata e bilanciata di come appare dal tranciante esordio: > Apocalyptic and Utopian: On Pope Francis Bolivian Manifesto
Ma in ogni caso si riferisce a un discorso che, una volta pronunciato, non ha più avuto storia nella pubblica opinione. Accantonato. Diversamente dalla sorte toccata al discorso di Francesco nel precedente e primo incontro dei “movimenti popolari”, tenuto a Roma il 28 ottobre 2014 su convocazione dello stesso papa, tramite il pontificio consiglio della giustizia e della pace.
Anche allora, ad ascoltare e ad applaudire Francesco, c’erano il presidente “cocalero” della Bolivia Evo Morales e decine e decine di gruppi “no global”, individuati dal papa come l’avanguardia di un futuro dell’umanità alternativo all’impero transnazionale del denaro, nonché “trascendente” rispetto ai “procedimenti logici della democrazia formale”.
Ma quella era la prima puntata della storia. La notizia c’era. E il discorso aveva qua e là momenti di fiamma. La seconda puntata è stata una replica sbiadita. Con una platea dal profilo ancor più sfuggente. Troppo poco per un “manifesto” del pontificato, come l’ha definito padre Schall.
© Sandro Magister (06/08/2015)